Rezension über:

Philippe Blaudeau / Peter Van Nuffelen: L'historiographie tardo-antique et la transmission des savoirs (= Millennium-Studien zu Kultur und Geschichte des ersten Jahrtausends n. Chr.; Vol. 55), Berlin: De Gruyter 2015, XI + 380 S., ISBN 978-3-11-040693-1, EUR 109,95
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Rezension von:
Laura Mecella
Università Europea di Roma
Redaktionelle Betreuung:
Matthias Haake
Empfohlene Zitierweise:
Laura Mecella: Rezension von: Philippe Blaudeau / Peter Van Nuffelen: L'historiographie tardo-antique et la transmission des savoirs, Berlin: De Gruyter 2015, in: sehepunkte 16 (2016), Nr. 2 [15.02.2016], URL: https://www.sehepunkte.de
/2016/02/27769.html


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Philippe Blaudeau / Peter Van Nuffelen: L'historiographie tardo-antique et la transmission des savoirs

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L'affermazione di Doris Meyer secondo cui "sans doute, l'historiographie est-elle l'un des genres littèraires les plus caractéristiques, les plus innovateurs peut-être de l'Antiquité tardive", citata da Wirbelauer a conclusione del proprio contributo (329-330), costituisce forse l'epigrafe migliore per questo libro, che in effetti, a dispetto del titolo, affronta problematiche ben più ampie del pur vasto e complesso tema della trasmissione dei saperi. A rigore, ad esso è infatti dedicata solo la IV delle cinque sezioni della raccolta, mentre approfonditi studi sono volti più propriamente a indagini di Quellenforschung (I), all'analisi delle diverse concezioni storiografiche (II) e alla riflessione sullo statuto dei generi letterari (III). Al termine di questa rassegna di carattere più generale, la V e ultima parte si propone invece l'esame di questioni specifiche legate ad alcuni dei protagonisti del racconto storico, siano essi re, imperatori, usurpatori o vescovi. Un'articolazione complessa, dunque - come emerge anche dalle dettagliate introduzioni dei curatori - che rende ragione sia della vitalità del genere storiografico nei secoli della Tarda Antichità, che della vivacità degli attuali studi sul tema.

Non a caso, alcune delle relazioni presentate al convegno di Angers del 2012 - di cui il volume raccoglie gli Atti - hanno anticipato prospettive di ricerca che stanno conoscendo pieno sviluppo proprio in questi mesi. Filostorgio, che ora gode di una nuova edizione critica con commento, [1] viene discusso da Meyer e Bleckmann: se la prima mostra efficacemente come, attraverso le varie discussioni scientifiche sui fenomeni naturali, lo storico eunomiano mirasse a partecipare al dibattito cosmologico e teologico dei suoi tempi, tentando di armonizzare, laddove possibile, le conoscenze pagane con le interpretazioni bibliche, il secondo si concentra piuttosto sulla lettura che della sua opera viene proposta da Fozio. Anche l'interesse per la teosofia evidenziato da Roberto in Malala ed ampiamente diffuso in Oriente tra V e VI secolo è ora materia di ulteriori indagini; [2] infine, la ricostruzione e l'interpretazione delle opere di Olimpiodoro di Tebe e Giovanni d'Antiochia - qui esaminate da Stickler e Laniado con particolare riguardo, rispettivamente, per le figure di Costanzo III e Vitaliano - continuano ad essere oggetto di acceso dibattito. [3]

Degna di nota è pure l'attenzione per le letterature orientali, la cui importanza per una corretta contestualizzazione del panorama storiografico greco-romano costituisce un dato ormai acquisito. Purtroppo le barriere linguistiche rendono ancora molti di questi testi di difficile accesso; appaiono dunque meritori quegli interventi che consentono di approfondire meglio le nostre conoscenze su un patrimonio così fecondo. Attraverso la fine analisi di Hilkens sulla Cronaca siriaca del 1234, è ora possibile risalire all'opera di Andronico, presumibilmente attivo nell'età di Giustiniano ed autore di una cronaca in siriaco che, sul modello eusebiano, abbracciava la storia mondiale dalla creazione a Costantino, con un'interessante combinazione di tradizioni locali (siriache, caldee ed egiziane) e racconti biblici: l'opera sarebbe poi confluita nella tradizione posteriore soprattutto in relazione all'epoca pre-abramitica. Significativamente, il recupero di una simile personalità potrebbe consentire una migliore conoscenza anche della cronografia bizantina, che attraverso la mediazione di figure come l'alessandrino Anniano (per non fare che un esempio) sappiamo essere grandemente debitrice dalla tradizione orientale. Per altro verso, proprio l'esame condotto da Camplani sui testi copti prodotti dalla cancelleria episcopale alessandrina tra IV e VII secolo permette di cogliere i profondi cambiamenti di paradigma occorsi nella tradizione memorialistica della città egiziana, rappresentando dunque un tassello fondamentale nella composizione di questo quadro. Al versante armeno guarda invece Traina: la funzione storica dell'Armenia come cerniera tra mondo ellenistico-romano e parto-sasanide si riflette anche sulla sua prima produzione storiografica, che senza dimenticare il sostrato iranico guarda con insistenza ai modelli greci. Tra gli esempi proposti del delicato intreccio tra piano storico-politico e piano letterario, è emblematico soprattutto il c.d. 'Romanzo d'Artabano e d'Ardašir', a noi noto grazie a una rielaborazione greca: un caso classico di 'invenzione della tradizione'. Se infatti i nobili armeni, sottoposti al controllo sasanide, erano particolarmente attenti alle radici partiche della Grande Armenia, essi guardavano però a Costantinopoli nella speranza di un aiuto per le proprie rivendicazioni territoriali: "sans doute est-ce là l'une des raisons principales de la traduction grecque du Roman arménien d'Ardašir" (161).

Molto preziosi si rivelano poi quegli studi che offrono letture originali e stimolanti di testi significativi: Moreau si occupa degli atti pontificali, ribadendo la loro importanza come fonti di cronografi e storici ecclesiastici tra IV e VI secolo; Teja torna sul problema della Vita di Porfirio di Gaza di Marco Diacono, ribadendone l'autenticità; Wirbelauer aiuta a districarsi nella selva di tradizioni sorte intorno alla figura di papa Silvestro I. Della Historia Wambae, di cui propone con convincenti argomentazioni una datazione tra il 681 e il 690, Deswarte offre un'analisi sapiente, evidenziandone le raffinate strategie letterarie per la costruzione di un testo con intenti anche didattico-pedagogici. Pur principalmente mirato a cogliere la prospettiva storiografica di Teodoro Anagnoste, il contributo di Greatrex offre anche una lezione di metodo: nell'analisi dei rapporti tra Teodoro e l'epitomatore che nel VII secolo ne ha condensato (e in parte riscritto) l'opera, l'autore mostra le difficoltà di ricostruzione dell'originario impianto della Historia e ci rammenta la cautela necessaria nel trattamento di testi giuntici per tradizione indiretta.

Grande considerazione è rivolta, infine, allo studio dei topoi letterari. Parmentier e Barone si occupano del tema della fine di Erode: attestato per la prima volta in Flavio Giuseppe, a partire dal IV secolo il motivo viene progressivamente rielaborato fino ad acquisire tutti i connotati della 'morte del tiranno'. Dal canto suo, Gaillard-Seux rintraccia nei ritratti di Pescennio Nigro, Clodio Albino, Gordiano II e dell'usurpatore Firmo forniti dalla Historia Augusta forti analogie con rappresentazioni del mondo animale o mitologico. Secondo la studiosa, il redattore della HA si sarebbe divertito ad accostare, tramite la loro descrizione fisica, gli imperatori alle bestie, con evidente intento denigratorio: e se già questa chiave di lettura non appare sempre del tutto persuasiva, ancora più incerta è l'ipotesi, avanzata en passant, secondo cui la HA possa essere stata composta a Costantinopoli. La presunta assimilazione tra Firmo e Tifone, figura mitologica dietro cui Sinesio notoriamente cela uno dei membri della corte di Arcadio, richiamerebbe a suo dire la città sul Bosforo; e tuttavia, al di là della fragilità dell'intero impianto ricostruttivo, è improbabile che un'opera così feroce contro i parvenus del nuovo senato orientale (cf. Gall. 6, 9) possa essere stata composta sulle rive del Corno d'Oro. Infine, Huck si dedica alla costruzione della leggenda di Costantino come primo 'legislatore cristiano', quale appare compiutamente nella storia di Sozomeno: se in Eusebio Costantino rappresentava il prototipo del 'buon legislatore' senza alcuna specifica connotazione, è in ambito pagano, con Giuliano e Ammiano Marcellino, che si comincia per la prima volta a riflettere sui connotati religiosi della sua legislazione. È su questa base dunque che Sozomeno elabora il proprio Costantino, al fine soprattutto di celebrare, dietro la figura del 'fondatore', l'imperatore Teodosio II, che proprio in ambito giuridico con la realizzazione del codex aveva dato uno dei suoi contributi più significativi.

Pur da questi brevi cenni, appaiono dunque evidenti l'importanza e l'interesse del volume, che affronta con prospettive nuove alcune delle tematiche di maggiore attualità nel dibattito scientifico sulla produzione letteraria tardoantica.


Note:

[1] B. Bleckmann / M. Stein: Philostorgios Kirchengeschichte, I-II, Paderborn 2015.

[2] Cf. da ultima L.M. Tissi: Questioni oracolari, symphonia e paideia scolastica nella Teosofia di Tubinga, MEG 15 (2015), 249-267.

[3] Sulla 'Johannesfrage' cf. ora i contributi di S. Mariev e U. Roberto in: M. Meier / Ch. Radtki / F. Schulz (Hgg.): Die Weltchronik des Johannes Malalas. Autor - Werk - Überlieferung, Stuttgart 2016, 253-286.

Laura Mecella