Rezension über:

Tamara Graziotti: Giustizia penale a San Gimignano (1300-1350), Florenz: Leo S. Olschki 2015, XXV + 180 S., ISBN 978-88-222-6327-8, EUR 26,00
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Rezension von:
Enrico Faini
Dipartimento di Storia, Archeologia, Geografia, Arte e Spettacolo (SAGAS), Università degli Studi di Firenze
Redaktionelle Betreuung:
Ralf Lützelschwab
Empfohlene Zitierweise:
Enrico Faini: Rezension von: Tamara Graziotti: Giustizia penale a San Gimignano (1300-1350), Florenz: Leo S. Olschki 2015, in: sehepunkte 16 (2016), Nr. 12 [15.12.2016], URL: https://www.sehepunkte.de
/2016/12/28272.html


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Tamara Graziotti: Giustizia penale a San Gimignano (1300-1350)

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Il volume costituisce una revisione della tesi di Dottorato in Storia Medievale discussa dall'autrice nel 2012. Il libro mantiene il nitore e la freschezza di un'opera prima, ma non l'ingenuità che, solitamente, le si accompagna. Al contrario - come messo in evidenza da Paolo Nardi nella prefazione - l'autrice coniuga "le competenze tipiche del medievista [...] con quelle dello studioso adeguatamente informato circa gli aspetti storico-giuridici degli argomenti trattati" (XI).

Si tratta dell'analisi estensiva dei quattordici registri superstiti dell'attività dei rettori forestieri (podestà e capitano del Popolo) nel piccolo centro di San Gimignano (Siena) tra 1320 e 1330. Nel contesto documentariamente già piuttosto felice dell'Italia comunale, San Gimignano costituisce un caso eccezionale, potendo vantare serie archivistiche abbastanza ricche dalla prima metà del secolo XIII. La scelta di una cronologia così bassa è dovuta a due motivi. In primo luogo all'intenzione di confrontare l'attività di due magistrature universalmente diffuse nell'Italia comunale: podestà e capitano del Popolo; è solo dal 1318, infatti, che il capitano si trova insediato stabilmente a San Gimignano. In secondo luogo alla volontà di collocare il cuore della ricerca in un momento precedente alla perdita dell'autonomia del centro (1353), ma per il quale il quadro politico di riferimento sia ricostruibile in maniera sufficientemente dettagliata.

L'indagine si colloca in un contesto storiografico vivace, del quale l'autrice dimostra adeguata conoscenza. In particolare ci si è chiesti fino a che punto giustizia compositiva-privata e autoritativa-pubblica (sostenuta quest'ultima dalla diffusione del rito inquisitorio) siano reciprocamente esclusive e indicative di un differente grado di evoluzione statuale. Negli studi degli ultimi trent'anni queste esclusività e indicatività sono state fortemente messe in discussione. Tuttavia sono ancora pochi i lavori di verifica sul campo simili a quello qui recensito. Inoltre, se è stata lamentata l'assenza di analisi sull'attività di polizia nei centri urbani medievali, l'autrice - notando che non è possibile considerare questa attività separatamente da quella giudiziaria - nella terza parte del volume offre sull'argomento dati tanto utili quanto rari da reperire negli studi.

Dopo aver presentato nella prima parte le magistrature di podestà e capitano (la cronologia dell'affermazione, le prerogative e gli obblighi, così come emergono dalla normativa statutaria), l'autrice passa allo studio dei processi e delle procedure nella seconda. È questo il cuore del libro ed è qui che emergono i risultati più notevoli. La studiosa è riuscita infatti a mettere in evidenza attraverso l'attività pratica la distinzione principale nelle competenze delle due magistrature, una distinzione che risulta anche dalla normativa locale, ma della quale, fino a oggi, non si erano apprezzate le ricadute documentarie. Si scopre così che il capitano del Popolo rappresentava il supremo garante della legalità, essendo il titolare della giurisdizione d'appello e del sindacato sugli altri ufficiali comunali. A queste prerogative corrispondeva un'attività giudiziaria nella quale circa un terzo era costituito dai reati amministrativi. D'altra parte sia nel tribunale podestarile sia in quello del capitano l'intervento dell'autorità politica appare piuttosto marginale. Nel complesso, a giudizio della studiosa, i tribunali del podestà e del capitano risultavano efficienti. Grande spazio era dato al rito inquisitorio, un modello procedurale assai duttile, diverso "dall'inquisitio ereditata dalla prima generazione di giuristi" (161). Le composizioni private (paci) erano pienamente integrate nel rito, non imponendo l'interruzione del processo, ma assicurando l'irrogazione di pene più lievi.

L'autrice ha optato per un'analisi quantitativa dei dati, senza nulla concedere agli aspetti narrativi. Ciò ha indubbiamente permesso di concentrare una grande mole di risultati in un numero tutto sommato ridotto di pagine. Sono rimasti, però, un po' in ombra quei dati di contesto che avrebbero permesso di leggere l'attività giudiziaria in una chiave più francamente politica. Al contrario, la scelta della cronologia 1320-1330 si è rivelata a posteriori particolarmente felice, perché - grazie al lavoro di Sylvain Parent, che l'autrice non ha avuto modo di citare, essendo uscito pochi mesi prima - possediamo per quegli anni una descrizione molto precisa dell'attività inquisitoriale promossa da Giovanni XXII e, dunque, una possibilità di confronto e contestualizzazione. [1] Si tratta, è chiaro, di casi differenti, ma è proprio a partire dalla somiglianza delle procedure impiegate su scale così diverse, che si può apprezzare meglio quanto scrive l'autrice nelle conclusioni: il processo inquisitorio appare ormai uno "strumento di governo" (166), capace di offrire alla politica nuove opportunità di intervento su moltissimi aspetti della vita sociale, dal non conformismo politico travestito da eresia (Parent), al corretto svolgimento dei più modesti incarichi comunitari (Graziotti).


Nota:

[1] Sylvain Parent: Dans les abysses de l'infidélité: les procès contre les ennemis de l'Église en Italie au temps de Jean XXII (1316-1334), Rome 2014.

Enrico Faini