Rezension über:

Elisa Tosi Brandi: Rimini (= Il medioevo nelle città italiane; 14), Spoleto: Fondazione Centro Italiano di Studi sull'alto Medioevo 2017, 230 S., 23 Farbabb., ISBN 978-88-6809-150-7, EUR 15,00
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Rezension von:
Enrico Faini
Dipartimento di Storia, Archeologia, Geografia, Arte e Spettacolo (SAGAS), Università degli Studi di Firenze
Redaktionelle Betreuung:
Ralf Lützelschwab
Empfohlene Zitierweise:
Enrico Faini: Rezension von: Elisa Tosi Brandi: Rimini, Spoleto: Fondazione Centro Italiano di Studi sull'alto Medioevo 2017, in: sehepunkte 18 (2018), Nr. 7/8 [15.07.2018], URL: https://www.sehepunkte.de
/2018/07/31493.html


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Elisa Tosi Brandi: Rimini

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Elisa Tosi Brandi è nota per i suoi lavori sulla realtà riminese e sulla corte malatestiana, ed è specializzata nella storia del costume e della moda. [1] Grazie a questa sensibilità scientifica l'autrice coglie con acume e naturalezza le connessioni tra la sfera economico-sociale e quella estetico-culturale. Il volume - parte di una collana dalle caratteristiche fisse e ben definite - risulta in tal modo declinato in una dimensione piuttosto originale.

La collana Il Medioevo nelle città italiane, diretta da Paolo Cammarosano, entro la quale si colloca Rimini, rappresenta il tentativo di offrire strumenti d'accesso all'indagine su una città medievale anche a un pubblico colto non specializzato. Ogni volume consta di tre parti: 1. Profilo generale (dedicato alla classica storia socio-politica), 2. Fonti scritte e 3. Il paesaggio urbano e le opere d'arte. Ogni parte si conclude con una bibliografia ragionata. Ciascuna delle tre parti è ulteriormente articolata al proprio interno secondo una paragrafazione comune ai vari volumi, in maniera che ciascun profilo urbano possa esser confrontato con gli altri. Questa soluzione consente di valorizzare i risultati di un'erudizione spesso più che secolare e, in prospettiva, di giungere a una nuova storia dell'Italia medievale su base cittadina, non più mera estensione di narrazioni divenute egemoni (Milano, Venezia, Firenze). D'altra parte lo schema rigido dell'esposizione può talvolta sacrificare le peculiarità locali e comprimere l'originalità interpretativa. Queste caratteristiche, nel bene e nel male, sono proprie anche di questo volume.

La Rimini medievale è l'erede di un municipio romano (Ariminum), fondato come colonia di diritto latino nel 268 a.C. e collocato, strategicamente, "al confine tra l'Italia continentale e quella peninsulare" (2). Circondata dall'acqua su tre lati - il torrente Ausa, il fiume Marecchia e il mare - Rimini non sarebbe mai uscita dai confini della cerchia muraria romana durante il Medioevo, tranne che per la costruzione di un nuovo borgo (Marina) verso il porto. Quest'ultimo, a causa del basso fondale, non permetteva l'attracco delle grandi navi mercantili. L'unico sostanzioso intervento sulla cerchia muraria risale alla prima metà del secolo XIII. La popolazione urbana - 15.000 o 20.000 abitanti all'apogeo medievale - era suddivisa su base topografica in regiones, poi chiamate hore e, solo in seguito, contrate, in numero di 23 nel XIV secolo. Il territorio della diocesi cittadina, nel basso Medioevo ormai sotto il controllo della città, era diviso in due aree: il 'barigellato' (una fascia immediatamente fuori dal centro urbano e la costa tra Bellaria e Cattolica) immediatamente soggetto alle magistrature cittadine, e un'area più esterna, incastellata, il cui controllo passava attraverso la relazione coi nuclei signorili localmente egemoni.

Dal punto di vista politico e politico-religioso, Rimini rimase satellite di Ravenna per tutto l'alto Medioevo. Sebbene fosse capitale del ducato della Pentapoli marittima durante i secoli dell'amministrazione bizantina VI-VII, le fonti sottolineano il legame strettissimo del presule riminese con il metropolita ravennate, nonché gli interessi economici mantenuti dall'aristocrazia e dai maggiori enti religiosi di Ravenna a Rimini e nel suo territorio. Sul piano culturale questi legami favorirono il confronto con la tradizione romano-bizantina lungo tutti i secoli del Medioevo e specialmente nell'ultima stagione del dominio malatestiano, come l'autrice mostra bene nella terza sezione. Al 1111 risale la prima traccia documentaria di un'organizzazione autonoma della popolazione riminese e, in linea di massima, la storia locale non si discosta dalla cronologia classica della storia comunale italiana: passaggio dal regime consolare a quello podestarile entro i primi del Duecento, accresciuta partecipazione popolare al governo tramite associazioni di mestiere testimoniate nello stesso secolo, tentativi di sottrarsi all'incipiente dominio territoriale del papato, anche tramite una politica filo-sveva entro la prima metà del secolo XIII. Nel 1278, dopo la rinuncia ufficiale di Rodolfo I d'Absburgo ai diritti imperiali sulla Romagna, la sovranità papale fu, almeno de iure, incontrastata.

Il problema divenne allora il grado di controllo che l'aristocrazia cittadina poteva riuscire a mantenere sul territorio diocesano, dato che le ingerenze del potere pontificio riguardavano soprattutto questo. In questa congiuntura particolarmente difficile il capo di un lignaggio signorile da tempo inurbatosi, Malatesta da Verucchio, nel 1303 riuscì a imporre il proprio dominio personale su Rimini come "difensore del bene pubblico e della città". Tale dominio, divenuto appannaggio familiare, si consolidò negli anni dell'operato del cardinale Albornoz tramite il conferimento di un vicariato apostolico pro tempore, rinnovabile (1355). Rimini e il suo territorio sarebbero stati definitivamente incorporati nello Stato della Chiesa solo all'inizio del XVI secolo.

La documentazione riminese del Medioevo ci è giunta in forma assai lacunosa e i suoi nuclei principali sono conservati presso la Biblioteca civica Gambalunga, l'Archivio di Stato e l'Archivio storico diocesano. A integrazione della documentazione superstite vanno segnalate le raccolte e gli spogli degli eruditi riminesi attivi dal XVII secolo. La storiografia è invece piuttosto abbondante a partire dal XIV secolo. Si segnalano la cronaca universale di Marco Battagli (la Marcha) - stesa in latino tra 1350 e 1355, all'interno della quale sono narrate le vicende riminesi a partire dal 1212 - il Chronicon Ariminense, opera in volgare di anonimo della seconda metà del Trecento, e la Continuatio annalium ariminensium, anch'essa anonima, in latino. Della fine del Trecento è un'opera di storiografia familiare-signorile dedicata ai Malatesta: la Regalis historia. Alla seconda metà del secolo successivo risalgono la Cronaca malatestiana del notaio Baldo Branchi e la Cronaca del senese Gaspare Broglio, divenuto dal 1443 fiduciario di Sigismondo Pandolfo Malatesta.

Molto ricco e accurato risulta anche il capitolo dedicato all'agiografia riminese, della quale sono testimonianza due codici del secolo XII: il Passionario della Gambalunga e il Passionario della Cattedrale (un altro codice agiografico d'ambito probabilmente riminese è il Vat. Lat. 6074 del secolo XII). Entrambi i passionari dedicano speciale attenzione ai santi locali e moderni, il che rende questi codici testimonianze preziose della cultura e della storia locali.

Testimonianza trecentesca di un'originale cultura iconografica bizantino-adriatica sono anche gli affreschi nella chiesa di San Giovanni Evangelista o di Sant'Agostino. Essi sono infatti opera di una scuola pittorica locale che prendeva le mosse dai lavori compiuti da Giotto durante il suo soggiorno riminese.

L'autrice termina con la descrizione di una singolare chiesa cristiana: San Francesco, divenuta, con la risistemazione quattrocentesca, il Tempio malatestiano. Il Tempio è, in effetti, una chiusa retoricamente molto efficace per il volume: ossequio alla romanità nella sintesi tra culture diverse (umanistica, ma anche feudale-cavalleresca), com'era stata l'arte riminese del Medioevo.


Nota:

[1] Elisa Tosi Brandi: L'arte del sarto nel Medioevo: quando la moda diventa un mestiere, Bologna 2017.

Enrico Faini