Yun Lee Too: The Idea of the Library in the Ancient World, Oxford: Oxford University Press 2010, X + 265 S., ISBN 978-0-19-957780-4, GBP 55,00
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Quello di Yun Lee Too non è uno studio sulle biblioteche antiche, ma sull'idea della biblioteca nelle sue varie incarnazioni, da quelle concrete a quelle metaforiche (il dotto come biblioteca vivente; le opere letterarie intitolate 'Biblioteca', ovvero i libri concepiti come biblioteche). Per questo motivo l'analisi della documentazione sulle biblioteche antiche si limita a pochi casi esemplari: la cosiddetta biblioteca di Pisistrato, la biblioteca di Alessandria, la biblioteca dell'Atrium Libertatis a Roma.
Il presupposto per cui "the library, ancient and modern, is a complex and multifarious entity" (VII) è precisato dalla definizione del concetto antico di biblioteca come "an idea, or a series of ideas, about how individuals have conceived textual culture" (1). In apertura viene posto un problema di fondo: "wheter or not the words 'ancient library' always refer to the same thing where different people at different moments in antiquity are concerned" (4). La risposta, per cui ogni biblioteca è concepita con un particolare pubblico in mente e rappresenta i gusti, l'educazione e la cultura di quel pubblico e dei suoi fondatori (5), non conduce a uno studio storico-sociologico, ma piuttosto a un'analisi di alcune forme di rappresentazione della biblioteca nel mondo greco-romano. Le categorie chiamate in causa sono quelle attese: anzitutto il potere e l'autorità, politica e culturale, poi l'identità culturale e la memoria e, infine, l'aspirazione a creare un canone e/o alla completezza della raccolta libraria (8). Un aspetto interessante che Yun Lee Too valorizza è la biblioteca come fonte e origine di nuovi libri (6) e come istituzione che "to some degree reauthors and recontextualizes the word as originally conceived and written by a poet, orator, historian or philosopher" (8). Questo fenomeno è particolarmente evidente nel caso dell'epica arcaica, prodotta e fruita nell'ambito di una cultura orale o aurale e poi allineata ad altri libri nelle biblioteche ellenistiche, dove finisce per interagire con testi estranei al suo ambiente d'origine e per influenzare la produzione di nuovi testi.
La storia delle biblioteche antiche è stata rappresentata dalle fonti (Gell. 7. 17, citato a p. 19) come storia di una biblioteca, quella fondata da Pisistrato, portata in Persia da Serse, restituita ad Atene da Seleuco Nicanore, e infine in parte confluita nella biblioteca di Alessandria. Si tratta di una sorta di translatio bibliothecae, parallela e in parte sovrapposta alla translatio imperii, che dall'antico centro del potere politico e culturale, Atene, approda al nuovo, Alessandria. Ovviamente quando un autore di età imperiale romana parla della biblioteca di Pisistrato non ha alcuna idea della sua consistenza e soprattutto delle sue funzioni. Pisistrato aveva fatto raccogliere e ordinare i poemi omerici e le opere di Esiodo perché fossero la base delle esecuzioni alle Panatenee. Lo scopo dell'azione di Pisistrato (e del figlio Ipparco) era quindi quello di costituire un corpus di testi per così dire controllati e autorizzati. Il racconto erodoteo su Onomacrito (7. 6. 3), sorpreso a introdurre nuovi oracoli nella raccolta di cui era depositario, chiarisce quale fosse l'interesse a esercitare un controllo su testi autorevoli, che potevano essere usati anche come base per rivendicazioni territoriali. Sulle più antiche raccolte librarie greche, compresa quella pisistratea, vd. il mio La biblioteca delle Muse: osservazioni sulle più antiche raccolte librarie greche, "Grazer Beiträge" 23, 2000, 213-227. Un'altra linea di tradizione pone all'origine delle biblioteche le raccolte private dei filosofi, in particolare di Platone e di Aristotele, trasmesse per via ereditaria ai loro successori alla guida delle scuole (24-31). La scuola di Aristotele è variamente connessa con la fondazione della biblioteca di Alessandria (33-35) e in questo modo le due linee vengono a toccarsi. La vicenda della copia ateniese dei tre tragici fatta allestire da Licurgo e trattenuta da Tolemeo III porta a una formulazione sull'aspirazione a possedere testi originali, come sarebbero stati quelli dei tre tragici (36). Ora, a parte la difficoltà di reperire testi originali a causa del carattere deperibile del papiro, il testo ateniese dei tragici non era certamente l'originale, ma semmai un testo emendato e autorizzato dalla città. La prova sono le numerose interpolazioni di regista e di attore che sono entrate nella tradizione manoscritta a livello di V e di IV secolo a.C.
Il secondo capitolo, sui cataloghi, è relativo a quei paratesti, come gli indices della Naturalis historia di Plinio o i capita delle Noctes Atticae di Aulo Gellio, concepiti come sussidi per la memoria.
La sommaria indicazione del contenuto nei proemi dei poemi epici (52 s.) pone in realtà molti problemi, legati alla prassi delle esecuzioni aediche e rapsodiche e alla natura stessa dei proemi, spesso concepiti per una particolare esecuzione o in funzione di uno specifico pubblico. Siamo a conoscenza di proemi alternativi per l'Iliade e sappiamo anche che alcuni filologi antichi nutrivano dubbi sulla paternità del proemio degli Erga di Esiodo. Sotto questo aspetto l'epica è molto diversa dagli altri generi letterari, anche da quelli destinati a un'esecuzione orale/aurale. Una forma di partizione della materia trattata, funzionale allo scopo persuasivo, si trova nell'oratoria, dove l'organizzazione del discorso è esposta nella propositio iniziale, mentre la recapitulatio conclusiva riepiloga le argomentazioni principali.
A proposito dei Pínakes di Callimaco, l'affermazione per cui sarebbero una registrazione dei libri posseduti dalla biblioteca di Alessandria (55; vd. anche 125) contraddice la tesi di Blum, secondo cui l'opera avrebbe natura biobliografica. Proprio perché aspiravano alla completezza i Pínakes non erano un catalogo, ma un repertorio, nel quale verosimilmente erano segnalate anche opere che la biblioteca non possedeva.
Il paragone tra la tecnica compositiva di Gellio e quella di Tucidide, in particolare per i libri V e VIII (66), è altamente problematico sia per i differenti contesti in cui i due autori hanno operato sia perché sulla presunta incompletezza dei libri V e VIII gli studiosi sono molto divisi.
La sezione sui dotti come biblioteche viventi è di particolare interesse perché affronta il problema delle autorità che regolano e autenticano i testi, come avviene nel famoso episodio di Aristofane di Bisanzio giudice in un agone poetico (90; Vitr. 7 praef. 5 s.). Tra i modelli di Apul. apol. 38. 5 pauca etiam de Latinis scriptis meis ad eandem peritiam pertinentibus legi iubebo, citato a p. 97, si deve indicare in primo luogo Isocr. antid. 10, dove viene presentata in termini molto simile l'antologia di brani dello stesso Isocrate, la prima nel suo genere, contenuta nell'opera. Bisogna anche segnalare che il termine poikilίa di Athen. 665a non indica semplicemente la varietà delle materie, ma rinvia anche alla precettistica retorica sulla léxis.
Trattando dei libri che pretendono di essere biblioteca, Yun Lee Too prende le mosse dalla Biblioteca dello Pseudo-Apollodoro. Assorbire all'interno dell'opera le opinioni dei predecessori comporta la "morte dell'autore" e la sua riduzione a puro nome e azione verbale - "X dice" (120). Questa efficace formulazione apre uno spiraglio in un campo ancora poco indagato, quello della Zitierweise, offrendo un'inedita prospettiva di ricerca. Naturalmente le modalità di citazione andrebbero studiate insieme alle opere che nascono come assemblaggio di citazioni: le dossografie, gli gnomologi, le antologie etc. Merita di essere segnalata l'interpretazione delle citazioni come parte di una genealogia letteraria (137), mentre la teoria di Svenbro sulla lettura (136 s.) avrebbe avuto bisogno di ben altra discussione critica.
La Biblioteca di Fozio pone problemi in parte diversi dai casi esaminati in precedenza. La Biblioteca non ha aspirazioni alla totalità, ma poggia sulla memoria dell'autore e, soprattutto, nasce in un contesto molto lontano da quello delle biblioteche, di qualunque natura, ellenistiche e romane. Ne è la prova il problematico rapporto tra l'operazione compiuta da Fozio e i canoni (180): alternativa ai canoni oppure connessa con la formazione di un canone cristiano? La prospettiva schiacciata, per cui i vari autori appaiono come contemporanei, l'approccio prevalentemente stilistico e l'abbondanza di "metadata" rinviano a un'espansione del canone (188) o a una situazione culturale nella quale non vi era spazio né per gli antichi canoni selettivi né per biblioteche totalizzanti, viventi o in forma di libro che fossero.
Nella sezione conclusiva sulle forme di socializzazione viene dato spazio al tema delle recitazioni pubbliche e alla funzione sociale delle declamazioni, che diventarono un esercizio prettamente romano (220), ma riprendevano la meléte greca. La condanna della scrittura da parte di Platone non riflette una società dove dominava l'oralità (223), ma segnala semmai la consapevolezza dei problemi che nascevano dal progressivo affermarsi della scrittura, alla quale peraltro Platone stesso non rinuncia.
Dei non numerosi refusi ed errori segnalo 34 Pfieffer per Pfeiffer; 39 septaginta per septingenta; 41 Perses per Perseus; 50, bibliografia e altrove Camessa per Camassa; 72 Sextus per Epictetus; 130 μῦθος con accento acuto; 133 structure per structurée; 144 Argrium per Agyrium; 145 πανταχοû privo dell'accento circonflesso; 148 πράξεως per πράξεις 153 οἰκεῖν per οἰκεῖον 174 Peisistratus per Ptolemy; 229 Macedonia per Amisus o Pontus. La nota 6 di p. 86 sembra fuori posto.
Tirando le somme, si tratta di uno studio ricco di spunti di grande interesse che, in alcuni casi, promettono importanti sviluppi. Il pregio maggiore consiste nell'aver tematizzato il dibattito sulle biblioteche antiche estendendolo a tutte le forme, concrete e metaforiche. L'ampiezza delle tematiche affrontate conduce talvolta ad aderire a posizioni critiche discutibili, ma l'impianto generale non ne viene intaccato. Quel che resta da fare è uno studio storico sistematico delle fonti alla luce delle idee di biblioteca che questo lavoro ha messo in luce.
Roberto Nicolai