Christopher A. Baron: Timaeus of Tauromenium and Hellenistic Historiography, Cambridge: Cambridge University Press 2013, XIV + 301 S., 3 Tabellen, ISBN 978-1-107-00097-1, EUR 60,00
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Fra gli storici greci traditi in frammenti Timeo di Tauromenio è forse quello che negli ultimi trent'anni ha attratto di più l'attenzione degli studiosi. Le ricerche su Timeo, inoltre, hanno aperto la strada a una nuova lettura della storiografia greca ellenistica 'perduta', con impostazioni metodiche innovative. [1] Una lettura criticamente più avveduta della storiografia frammentaria fra Tucidide e Polibio ha contribuito - o potrà farlo - a studiare l'intero corpus degli storici greci oltre lo schema della 'Entwicklung' proposto ormai tanti anni fa da F. Jacoby [2], e anche oltre la contrapposizione insostenibile fra una letteratura 'scientifica' (Tucidide) e una 'retorica' (di IV e III sec. a.C.). Le ricerche sugli storici 'scomparsi' possono giovare anche a comprendere meglio ciò che ci è rimasto in forma continua.
Il libro di Christopher Baron su Timeo si inserisce in questa linea di ricerca, con consapevolezza di metodo: l'entusiasmo che suscitano questi studi ha prodotto e produce ancora - ammonisce Baron - qualche eccesso interpretativo; e allora è preliminare sapere "the things we cannot say about Timaeus" (8). E il libro nel suo insieme è impostato su una 'pars destruens' (cap. 2-8) che cerca di sradicare quegli eccessi e su una 'pars construens' (cap. 9-11), più limitata, che intende dare a Timeo un posto nella storia della storiografia greca. Entrambe le parti sono introdotte da una riflessione su "how to study a fragmentary historian" (cap. 1).
Studiando, in modo molto ordinato Life and works (cap. 2), la 'fortuna' di Timeo in ambiente romano (cap. 3), il problematico rapporto Polibio-Timeo (cap. 4), il soggiorno ateniese dello storico di Tauromenio (cap. 5), la struttura 'polemica' della sua narrazione (cap. 6), il ruolo di Pitagora e del movimento pitagorico nelle Storie (cap. 7), infine i discorsi attribuiti nell'opera a grandi personaggi (cap. 8), Baron si è formato la convinzione che si debba usare molta prudenza nell'analisi dei testi: spesso si fa dire a Timeo ciò che affermano le fonti che lo tramandano, spesso si pensa che egli sia fonte di scritti che in realtà non lo menzionano affatto. L'opera di 'dimagrimento' ha il suo punto più alto nella discussione sulla figura di Pitagora. L'analisi del frammento 13 - si ricorda qui solo ad esempio - induce Baron ad ammonirci su facili generalizzazioni: ed è utile ricordare che ciò che leggiamo nell'opera molto tarda di Giamblico non è 'Timeo'. Baron mi attribuisce l'ingenuità di averlo pensato. Io ritengo, più modestamente, che una 'tradizione timaica' (certamente filtrata da altri autori) sia presente nella Vita di Pitagora. Un autore tramandato in forma frammentaria si ricostruisce anche recuperando la tradizione in cui è confluito.
In poche parole, riassumendo le conclusioni a cui giunge lo studioso: noi dobbiamo stare attenti a parlare della vicende di Roma in Timeo, senza distinguere fra le sue due opere (Storie e Pirro), ridimensionare il valore della critica polibiana, non attribuire alla polemica timaica verso predecessori e contemporanei un significato diverso dalla attitudine 'standard' degli intellettuali del suo tempo, non considerare il soggiorno ateniese come una specie di isolamento o di esilio culturale, infine non ritenere che il 'Western gaze' dello storico siceliota sia uno sguardo provinciale e poco avveduto. I discorsi - ultimo punto - sono ancora impigliati dentro l'ottica polibiana che vorrebbe sottrarre loro valore storiografico. Baron perviene a questi risultati attraverso una lettura attenta dei testi (anche se limitata dalla struttura stessa del suo libro), con osservazioni originali e altre che recuperano, in modo brillante, acquisizioni precedenti.
Nella 'pars construens' (cap.9-11), l'autore si prefigge due obiettivi: di mettere in evidenza da un lato 'le strategie della composizione letteraria' di Timeo (partendo da rilievi critici di G.B. Conte assorbiti da John Marincola), e dall'altro il carattere 'erodoteo' della scrittura timaica, anche qui accogliendo una definizione illustre (O. Murray) [3] che indicherebbe lo storico siceliota quale 'Herodotus of the West'. Liberandosi un po' della lodevole prudenza della prima parte del libro, Baron ritiene che si possa collocare Timeo, cercandogli un posto nella storia della storiografia, nel solco della tradizione erodotea, quindi erudita, curiosa, etnografica, oltre che pragmatica, contrapposta al modello di Tucidide, rigorosamente ancorato agli eventi. Questa seconda parte del lavoro di Baron, anche se è esito di un'approfondita sintesi culturale, non mi pare molto innovativa.
Nell'Introduzione Baron, mi attribuisce al di là dei miei meriti, un ruolo importante nella storia degli studi timaici (15). Baron sembra tuttavia preoccupato del mio eccessivo entusiasmo verso un autore cui pur si riconosce importante autorità; io ho la tendenza ad affezionarmi ai personaggi che studio, ed è probabile che io sia diventato indulgente verso Timeo oltre il dovuto: non era mia intenzione, però, di 'riabilitarlo', ma di sottrarlo semmai al pregiudizio polibiano e a quello dei più anziani colleghi antichisti. Quando ho cominciato a studiare Timeo, cioè alla fine degli anni settanta del secolo scorso, la tradizione degli studi gli era più avversa di quanto non sia oggi. In questo Baron è per altro d'accordo con me.
Il libro di Baron è un'utile e meditata riflessione su Timeo e sulla storiografia greca, più interessante nelle discussioni specifiche di quanto siano le conclusioni a cui egli giunge in ogni singolo capitolo. Un'idea del lavoro critico che sta alle spalle di questa opera la danno le due Appendici che troviamo al termine del libro: quando si ha a che fare con testi così discontinui come sono i 'frammenti', il momento analitico è assai più importante di ogni altra considerazione. Trovo il lavoro di Baron interessante quando si occupa di frammenti, meno quando cerca di collocare Timeo dentro a schemi di critica testuale moderna, e meno anche quando lo ritiene erede di una tradizione (quella di Erodoto), un dato acquisito che non aggiunge granché alla nostra conoscenza dello storico siceliota. Meglio, a mio avviso, la 'pars destruens' - in sintesi - di quella 'construens'.
E' evidente che quando si analizzano i testi di questa natura si rischia un po' di spremerli oltre il lecito. Qualche volta si rischia troppo, ed è bene farlo notare. Altre volte - all'opposto - si rischia forse un po' troppo poco.
Non era facile in fondo scrivere ancora su Timeo e fare tante osservazioni utili e importanti, accanto ad altre che non condivido, ma che mi è impossibile qui discutere nei dettagli. Baron, che non aveva davanti a sé un terreno così vergine come quello recentemente sondato da Giovanni Parmeggiani riguardo a Eforo [4], ha saputo in ogni caso avvicinarci un po' di più ai lineamenti di uno storico celebrato a Roma e ammirato dai suoi contemporanei. E non è un merito di poco conto.
Note:
[1] Mi fa piacere poter segnalare qui la prossima uscita di un volume che ho atteso molto (Between Thucydides and Polybius. The Golden Age of Greek Historiography, in c.d.s. a cura di G. Parmeggiani, Harvard 2014) che contiene gli Atti di un ormai lontano convegno di studi (La storiografia greca nel IV sec.a.C.: problemi e prospettive, Bologna 13-15 dicembre 2007). In quella sede si è discusso, spero con profitto, di nuove prospettive di ricerca riguardo alla produzione storiografica di IV e III sec. a.C.
[2] F.Jacoby: Über die Entwicklung der griechischen Historiographie und den Plan einer neuen Sammlung der griechischen Historikerfragmente, in: Klio 9 (1909), 80-123.
[3] J.Marincola: Genre, convention, and innovation in Greco-Roman Historiography, in: The limits of Historiography: Genre and Narrative in Ancient Historical Texts, ed.by C.S. Kraus, Leiden 1999, 281-324 (il riferimento a Conte è relativo a Genere e Lettori: Lucrezio, l'Elegia d'amore, l'Enciclopedia di Plinio, Milano 1991: Genres and Readers: Lucretius, Love Elegy, Pliny Encyclopedia, Baltimore 1994). La definizione di 'Erodoto d'occidente' è in: O.Murray: Herodotus and Hellenistic Culture, in: CQ 22 (1972), 210.
[4] G.Parmeggiani: Eforo di Cuma. Studi di storiografia greca, Bologna 2011.
Riccardo Vattuone