Benjamin Gray: Stasis and Stability. Exile, the Polis, and the Political Thought, c. 404-146 BC (= Oxford Classical Monographs), Oxford: Oxford University Press 2015, XIII + 452 S., ISBN 978-0-19-872977-8, GBP 90,00
Inhaltsverzeichnis dieses Buches
Buch im KVK suchen
Bitte geben Sie beim Zitieren dieser Rezension die exakte URL und das Datum Ihres Besuchs dieser Online-Adresse an.
Giustina Monti (ed.): Alexander the Great. Letters: A Selection, Liverpool: Liverpool University Press 2023
Jan Dreßler: Wortverdreher, Sonderlinge, Gottlose. Kritik an Philosophie und Rhetorik im klassischen Athen, Berlin: De Gruyter 2014
Nikola Moustakis: Heiligtümer als politische Zentren. Untersuchungen zu den multidimensionalen Wirkungsgebieten von polisübergreifenden Heiligtümern im antiken Epirus, München: Utz Verlag 2006
Nonostante il titolo, il tema centrale del volume non è la stasis, e nemmeno l'esilio, che pure costituisce il punto di partenza della ricerca: è piuttosto lo scontro fra culture politiche ispirate a modelli diversi, che esprimono idee contrastanti su polis, cittadinanza e vita politica.
La lunga Introduzione (1-33) illustra i termini cronologici della ricerca (404-146 a.C.) e, sul piano metodologico, insiste sull'importanza del confronto fra testi epigrafici e documentazione letteraria. Precisa poi la nozione di "cultura politica", presenta il tema dell'esilio come "lente" per una migliore messa a fuoco di questa cultura e illustra il piano dell'opera, divisa in sei capitoli dedicati agli aspetti "statici" (provvedimenti di espulsione e di reintegrazione degli esuli) e "dinamici" (comportamento del buon cittadino in tempo di pace e di guerra civile; identità e forme di organizzazione degli esuli) dell'interazione politica. Chiude l'introduzione una rassegna bibliografica che individua due contrapposte visioni della cultura politica greca, che valorizzano, rispettivamente, l'unità civica e il senso comunitario e di solidarietà e la competizione tra cittadini.
Il capitolo 1, "Two modes of Greek civic politcs: the Nakonian and the Dikaiopolitan" (35-78), presenta la chiave di lettura principale del volume. Parte dall'analisi di due decreti sulla riconciliazione dopo una stasis, provenienti uno da Nacone (Sicilia occidentale, IV-III secolo) e uno da Dicea (Calcidica, 365-359): il primo riflette l'idea di polis come comunità solidale, da rafforzare con una "fratellanza" artificiale imposta ai membri delle opposte fazioni; il secondo, come associazione di individui in competizione tra loro, che fa prevalere le idee di rigorosa giustizia e di stretta reciprocità su quella di concordia. I due modelli, definiti "naconiano" e "diceopolitano", benché in opposizione spesso condividono il vocabolario politico e possono essere in parte mescolati nelle esperienze politiche concrete.
Il capitolo 2, "Inclusion and political culture: projects of civic reconciliation and reintegration beyond Nakone and Dikaia" (79-107), si occupa dei provvedimenti di riconciliazione e di rentegrazione successive a una stasis in città diverse, cercando di valutarne il carattere "naconiano" (Mitilene, 334-324; Atene, 403 e 422-418) o "diceopolitano" (Tegea, 324; Telo, primo ellenismo) e le eventuali mescolanze, e li confronta con le trattazioni dell'Anonimo di Giamblico e di Aristotele (Politica, libro V). La conclusione è in favore di una sostanziale mescolanza dei modelli nella gestione pratica delle situazioni di tensione politica. Un'osservazione: Gray sostiene che nell'amnistia del 403 la clausola sulla dikai phonou conservata dal solo Aristotele (Ap 39, 5) va interpretata nel senso che le convenzioni avrebbero vietato anche il perseguimento dell'omicidio di propria mano: ma diversamente da quanto affermato a p. 87, n. 37 ("there are no conclusive indications in other sources that murder and wounding 'with one's own hand' were not covered by the amnesty"), casi come quello di Eratostene e di Agorato, per i quali Lisia si sforza di dimostrare la responsabilità come assassini "diretti", si comprendono meglio alla luce dell'interpretazione tradizionale.
Il capitolo 3, "Exclusion and political culture: Greek arguments for exile" (109-157) studia i provvedimenti di esclusione e di espulsione dei cittadini. Gray distingue i diversi tipi di esclusione previsti dalla legge: l'ostracismo, l'esilio come pena ("formal exile", phyghé), l'atimia totale che prevede la perdita della protezione legale ("outlawry"), l'atimia come perdita parziale di diritti ("disenfranchisement": spesso porta all'esilio volontario). Una netta distinzione netta tra esilio e atimia è però inopportuna, giacché essi sono sempre collegati. Nella documentazione esaminata emergono riferimenti sia al modello "naconiano" (l'esilio come strumento per preservare il modello comunitario, difendere o promuovere le virtù civiche, le istituzioni civili e religiose, gli interessi collettivi) sia al modello "diceopolitano" (espulsione come mezzo per garantire il rispetto delle regole e mantenere una rigorosa giustizia reciproca). Non sempre gli esempi sono convincenti: a p. 152 si afferma che la giustificazione offerta nelle Leggi platoniche (865 d 3) per la pena di un anno di esilio per omicidio involontario (il morto non potrebbe sopportare che il suo assassino camminasse in luoghi familiari) deriva dal modello "diceopolitano" e dall'esigenza di reciprocità: in realtà, queste normative sono influenzate dagli aspetti sacrali connessi con l'omicidio.
Il capitolo 4, "Paradigms in action: Nakonian and Dikaiopolitan political interaction and debate" (159-195), si discosta dal tema dell'esilio per considerare l'applicazione dei due modelli nell'ambito delle forme di interazione di carattere collaborativo. L'esame dei casi (Atene classica e Asia Minore ellenistica) porta alla conclusione che la costruzione di uno stabile consenso implica la coesistenza dei due modelli, favorita dalla virtù della phronesis, raccomandata da Aristotele.
Il capitolo 5, "Expulsion through stasis and civic political cultures" (197-291), considera il fenomeno della stasis che implica l'espulsione di cittadini, domandandosi quali siano le sue basi ideologiche. Attraverso alcuni case-studies (Fliunte, Atene nel 404 e nel 322, ma anche il Peloponneso e l'Asia Minore ellenistica), Gray intende dimostrare che la stasis non è una patologia del sistema, ma il risultato dell'applicazione di norme derivanti dalla cultura politica, che mantiene alto il livello di conflitto e sviluppa una retorica dell'esclusione. E' impossibile discutere punto per punto e mi limito a qualche osservazione. A p. 209 si afferma che gli oligarchici di Fliunte si rifanno al modello "diceopolitano" quando chiedono aiuto a Sparta in cambio della loro fedeltà, perché invocano la reciprocità; i democratici fliasii invece si rifanno al modello "naconiano" perché rivendicano il diritto di dirimere la questione all'interno della polis. A me pare, più semplicemente, che qui il problema sia quello dell'autonomia. A p. 227 si afferma che anche i democratici si presentano come apragmones, citando Eschine (III, 218-220): ma, per esempio, in Lisia l'apragmosyne è una colpa per il cittadino democratico. A p. 246 si ricorda come espressione di una prospettiva "naconiana" la proposta di Demade di tenere puliti gli spazi pubblici: forse è troppo.
Infine, il capitolo 6, "Citizens in exile as a lens for interpreting civic political cultures" (297-379), considera il caso del comportamento degli esuli, a noi noto per lo più da rappresentazioni esterne e di parte, che fanno capo alla città che espelle o a quella che ospita, molto raramente agli esuli stessi. Gray parte dall'esame di queste testimonianze, epigrafiche e letterarie, per poi analizzare le possibili scelte degli esuli: sviluppare una sorta di identità quasi civica e ricreare condizioni cittadine (gli Ateniesi a Samo nel 412, i Plateesi ad Atene dopo il 427), oppure vivere da meteci, fondare nuove città o addirittura ottenere una nuova cittadinanza; un'alternativa è abbracciare una visione cosmopolita, che si afferma in contesti ellenistici filosoficamente ispirati. Si tratta di una delle parti più interessanti del lavoro: l'analisi mostra che l'identità civica può essere mantenuta anche in condizioni difficili e mette in evidenza come il fenomeno dell'esilio costituisca uno stimolo al pensiero politico, favorendo lo sviluppo di idee umanitarie e di ideali cosmopoliti.
Le Conclusioni (381-388) sottolineano l'importanza, nella politica greca, dei due modelli opposti individuati in apertura; la loro opposizione causa acuti conflitti politici che possono portare a stasis ed esilii, la loro coesistenza, a prezzo di qualche ambiguità, genera consenso e stabilità.
Il volume è molto faticoso da leggere per un eccesso di teorizzazione che appesantisce il testo. La spiccata prospettiva sociologica ottunde un po' i contenuti storici, come lo stesso Gray ammette nelle conclusioni. L'individuazione dei due modelli non è priva di interesse e può offrire uno strumento di lettura dei contrasti politici, ma ho l'impressione che la sua applicazione meccanica finisca talora per oscurare i veri motivi di tensione (non tanto la visione comunitaria o contrattualistica della polis, ma più immediate questioni costituzionali e di politica estera). Il fatto, poi, che i due modelli appaiano, nella stessa interpretazione di Gray, pressoché sempre mescolati nella realtà storica (anche negli stessi decreti di Nacone e di Dicea da cui parte la riflessione) ne conferma il carattere astratto e teorico.
La bibliografia è imponente, ma alquanto lacunosa per i titoli non in lingua inglese. Completano il volume tre indici: delle parole e dei concetti greci, dei passi discussi, dei nomi propri e degli argomenti.
Cinzia Bearzot