Daniel Ogden: The Legend of Seleucus. Kingship, Narrative and Mythmaking in the Ancient World, Cambridge: Cambridge University Press 2017, XIV + 386 S., ISBN 978-1-107-16478-9, GBP 90,00
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Tra i molti saggi dedicati alla dinastia seleucide mancava, finora, un testo dedicato esplicitamente all'esame della propaganda o, meglio, della costruzione di una 'mitologia' seleucide, indagata con occhio attento a tutta la tradizione, letteraria e non, in una prospettiva comparativa e volta a individuare precisi patterns narrativi. Il volume di Daniel Ogden copre finalmente questo vuoto nella scholarship e rappresenta per così dire il suggello di un'ampia indagine condotta negli ultimi anni dallo studioso sia su Seleuco I, sia anche sulle leggende relative ad Alessandro e ad altri diadochi (in primis, Tolemeo I). [1]
Il libro si compone, oltre che di un apparato esplicativo iniziale, di un'introduzione seguita da sette densi capitoli, nonché di un nutrito gruppo di appendici (ben sei), tutt'altro che accessorie ma spesso fondamentali anche per la comprensione di diversi passaggi logici e argomentativi del testo. Oltre ad alcune, utilissime figure e cartine, corredano il volume un'ampia bibliografia e un esaustivo indice finale.
È difficile riassumere pagine così complesse e articolate, che si snodano attorno ad alcuni temi centrali relativi a Seleuco I e la sua famiglia, discussi peraltro con grande chiarezza espositiva, unita a puntiglio e acribia filologica (ma senza alcuna concessione allo sfoggio di una sterile erudizione). Questi sono, nell'ordine: 1) il rapporto con Apollo (quale divinità tutelare della dinastia) e gli omina sulla grandezza del fondatore della dinastia; 2) la romanzesca fuga di Seleuco I da Babilonia in occasione dello scontro con Antigono; 3) la fondazione delle città, con attenzione rivolta per lo più alla tetrapoli siriaca (ma anche a Seleucia sul Tigri); 4) il cosiddetto Stratonice affair (e il rapporto tra la regina e Combabo); 5) gli omina sulla morte di Seleuco I e la vendetta consumata da lui postuma, in forma di fantasma, nei confronti del suo assassino, Tolemeo Cerauno.
Accanto a questi nuclei d'indagine ve ne sono altri, solo apparentemente marginali, che riguardano in primo luogo Lisimaco e Tolemeo. [2]
Fin dall'introduzione, Ogden illustra i criteri metodologici che animano tutta la sua ricerca, oltre a fornire preliminarmente una biografia del personaggio di Seleuco I. I succitati nuclei tematici relativi alle vicende del diadoco, in una panoramica delle fonti che va, con relativa sicurezza, da Euforione di Calcide fino a Giovanni Malalas, sono indagati e suddivisi con particolare attenzione alla struttura narrativa, al contenuto ma anche alla loro funzionalità, per quanto si può evincere da una tradizione spesso frammentaria o aneddotica. Ogden parla di una leggenda tripartita, usando volutamente il termine leggenda per comodità e con voluta semplificazione, evitando in tal modo di addentrarsi in confronti o analisi troppo sbilanciate sul versante antropologico o strutturale. Lo studioso afferma che questa è l'unica chiave per arrivare a comprendere il significato di questa composita tradizione e contestualizzare il suo valore simbolico.
Utile a tal riguardo si presenta il ricorso sistematico a diverse tabelle, come ad es. quella sui vari racconti relativi alla fuga a cavallo, dall'età epico-mitica fino all'età sassanide (Ardashir), che mostrano la volontà dello studioso di fornire tutti gli elementi nella tradizione utili per uno sguardo comparativo (davvero impressionante è la capacità dell'autore di addurre una gamma completa di fonti, anche quelle più neglette).
La conclusione a cui giunge Ogden, e che fa capolino costantemente nel volume, è quella secondo cui la leggenda di Seleuco I e il 'Romanzo di Alessandro' si svilupparono, con influenze reciproche, durante l'età ellenistica. Una chiave interpretativa senz'altro innovativa e stimolante, che è presentata peraltro con tutta la prudenza del caso (soprattutto nella difficoltà o anzi impossibilità di individuare una precisa sequenza cronologica).
Fondamentale per sostanziare tale ipotesi si rivela un esame della fonte principale, la Syriake di Appiano con il suo excursus su Seleuco, oggetto di grande attenzione critica, soprattutto da G. Marasco, K. Brodersen, P. Goukowsky, in lavori adeguatamente compulsati e discussi quasi verbatim da Ogden (caratteristica del volume è peraltro quella di una discussione garbata, ma analitica delle conclusioni a cui sono giunti gli studiosi precedenti). L'autore passa in rassegna tutte le principali identificazioni della fonte o delle fonti utilizzate, nel testo e in appendice, arrivando a una conclusione tendente decisamente all'atetesi, rifiutando la dipendenza dell'excursus da questo o quell'autore antico. Assai dettagliate sono l'Appendix D e l'Appendix E, in cui è criticata, e credo condivisibilmente, l'ipotesi di Goukowsky circa la dipendenza della sezione appianea da Agatarchide di Cnido. Del resto, come già si è rilevato, l'approccio scelto da Ogden non contempla una Quellenforschung di stampo tradizionale degli autori di età imperiale (oltre ad Appiano, in particolare Giustino e il suo riassunto delle Storie filippiche di Pompeo Trogo, ma anche, in precedenza, Diodoro Siculo), giacché non si ritiene possibile individuare con sicurezza la traccia non solo di Agatarchide, ma anche di altri autori, a partire da Ieronimo di Cardia, Filarco, Duride.
Molti i punti convincenti o comunque degni di adeguata considerazione nella ricerca di Ogden, di cui ricordo qui solo la fondamentale discussione sui miti di fondazione della tetrapoli, conosciuti peraltro in modo dettagliato prevalentemente solo da tradizioni tarde, alle quali si aggiunge il racconto di Diodoro sulla fondazione di Seleucia sul Tigri (cap. III). Lo studioso sostiene che tali racconti siano concatenati tra loro, individuando una precisa e salda coerenza tematica, che si basa essenzialmente sulla presenza di alcuni motivi comuni (in particolare, il fulmine e l'aquila).
Vi sono comunque anche affermazioni non del tutto condivisibili. Ciò vale, ad es., per l'indagine sull'importanza delle singole città e su quale fosse l'effettiva capitale dei Seleucidi; Ogden la individua in Antiochia sull'Oronte, già a partire da Antioco I, anche se questa non è l'unica soluzione proponibile e preferibile (dal punto di vista cronologico). [3]
Più in generale, la prospettiva interpretativa scelta dallo studioso è sì affascinante ma non manca di suscitare qualche perplessità. Da un lato, un'analisi condotta indagando essenzialmente i patterns narrativi lascia o rischia di lasciare sullo sfondo un approfondimento del contesto storico in cui le varie tradizioni si sono se non formate, almeno sedimentate o comunque hanno avuto valore propagandistico. Il pensiero corre a sovrani e momenti fondamentali nella dinastia: per tutti, valgano gli anni di regno di Antioco III. Ogden, sulla scorta del confronto con Giustino e Appiano, è incerto se ritenere che il ruolo di Euforione di Calcide sia stato sostanzialmente quello di tramite di tradizioni anteriori o se attribuire a lui e ad altri autori coevi una vera e propria funzione 'creativa' nell'elaborazione di talune leggende (partic. pp. 24-26, 278-279, 323-325; cfr. pp. 300-302, per un quadro della pubblicistica legata a quel sovrano).
Ogden ritiene inoltre che non sia possibile enucleare a 'full-scale legendary biography' di Tolemeo I, paragonabile a quella di Alessandro o Seleuco I, sebbene riconosca che sia rintracciabile quello che definisce 'legendary material' relativo al diadoco (in rapporto alla sua origine eraclide e alla sua nascita da Filippo II e dalla madre Arsinoe I). [4] A tal riguardo adduce le principali fonti, rimandando a quanto scritto in lavori precedenti. [5] Viene negata così la possibilità di un confronto puntuale tra le due dinastie 'cugine' nella creazione e sedimentazione della propaganda e del richiamo alla dinastia argeade e all'ascendenza da Eracle, peraltro ben rintracciabile nelle fonti, letterarie ed epigrafiche, di III-II secolo a.C.
Spicca poi la tendenza di Ogden a negare l'importanza di Timagene come snodo importante nella trasmissione dell'immagine e della propaganda sui successori di Alessandro, non solo dei Seleucidi, come viene invece ormai sempre più riconosciuto. [6]
In conclusione, il libro qui recensito è senz'altro un contributo fondamentale alla ricerca su Seleuco I e, più in generale, sull'età ellenistica (come peraltro altri noti e apprezzati lavori di Ogden). Anche non accettando o condividendo solo in parte l'idea che sostanzia il volume, vengono però evitati i difetti che generalmente accomunano i libri costruiti su una tesi di fondo, grazie anche alla grande erudizione e sensibilità nell'indagine storico-letteraria mostrate dallo studioso.
Note:
[1] Vd. i numerosi lavori citati a pp. 370-371 della sezione bibliografica (References); cfr. inoltre D. Ogden: Seleucus, his Signet Ring and his Diadem, in: C. Bearzot / F. Landucci (eds.): Alexander's Legacy, Roma 2016, pp. 141-155 (in cui costante è il rimando all'analisi proposta nel volume qui recensito).
[2] Rispettivamente Appendix C ('Thorax and the Loyal Dog of Lysimachus') e Appendix F ('Towards a Legend of Ptolemy').
[3] Pp. 165-167. Cfr. L. Martinez-Sève, Peuple d'Antioche et dynastie séleucide, «Topoi», Suppl. 5 (2004), pp. 21-41, secondo la quale questa città non sarebbe stata la capitale seleucide, almeno fino alla fine del regno di Antioco III.
[4] Pp. 346-350 (Appendix F).
[5] Tra questi si segnala che lo studio contenuto in S. Ager / R.A. Faber (eds.) Belonging and Isolation in the Hellenistic World, Toronto / Buffalo / London 2013, ha, correttamente, il seguente titolo: The Birth Myths of Ptolemy Soter (pp. 184-198). Nella bibliografia sull'argomento non trova poi posto la discussione di B. van Oppen: Lagus and Arsinoe: An Exploration of Legendary Royal Bastardy, «Historia», 62 (2013), pp. 80-107, peraltro assai utile per gli aspetti 'strutturali' della tradizione sui natali di Tolemeo I.
[6] Così a pp. 297-299. Cfr. F. Landucci: I Diadochi, in: C. Bearzot / F. Landucci (a cura di): Studi sull'Epitome di Giustino. II. Da Alessandro Magno a Filippo V di Macedonia, Milano 2015, pp. 17-38 e, per quanto riguarda Tolemeo, l'articolo di van Oppen citato a nota 5. A mio avviso, è proprio la scelta dell'organizzazione della materia narrativa, articolata per sovrani (e dunque, è lecito pensarlo, per dinastie), a suggerire che Timagene dovesse tracciare un quadro mitistorico delle varie casate ellenistiche.
Federicomaria Muccioli