Carol Atack: The Discourse of Kingship in Classical Greece (= Routledge Monographs in Classical Studies), London / New York: Routledge 2020, VII + 242 S., ISBN 978-0-367-20530-0, GBP 115,00
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Il tema di questo volume è decisamente interessante: il discorso sulla regalità nella storiografia, nel teatro e nella riflessione filosofico-politica ateniese, e, di conseguenza, la possibilità di mettere in relazione l'esperienza monarchica con quella della polis democratica.
Il lavoro si sviluppa come segue. L'introduzione (1-12) sottolinea la funzione della monarchia nel produrre ordine, stabilità e unità nella comunità, e il conseguente interesse dei pensatori greci, che le assegnano un ruolo significativo nella riflessione politica, ma anche nell'immaginario politico e nella costruzione di miti politici. Questo ruolo viene esaminato nel primo capitolo, attraverso Erodoto (13-38): nella sua opera storiografica sarebbe presente il modello orientalizzante del "cosmic king", capace di realizzare l'ordine, l'unità e la stabilità della comunità politica. Recuperando idee che provengono da culture "altre", dalla filosofia presocratica (Eraclito, Empedocle), dalle storie degli antichi re fondatori, Erodoto tratteggia, attraverso i casi di Psammetico, Deioce e Amasi, l'immagine di un re intrinsecamente legato all'idea di kosmos, in netta contrapposizione con il tiranno. È chiaro che qui la chiave interpretativa che si adotta è un modello, quello appunto del "cosmic king"; in che misura esso possa essere identificato nelle fonti greche mi appare incerto. Ma su questo torneremo. Un terzo capitolo (39-67) riguarda la rappresentazione della monarchia nel teatro ateniese, in cui compaiono figure positive di re (Dario, Eretteo, Teseo, Pelasgo) e figure negative (Serse, Danao, Creonte, Eteocle) e in cui è sviluppato il contrasto fra sovrano assoluto, di fatto un tiranno, e il buon re "democratico"; anche nella commedia è possibile identificare la versione comica dei sovrani euripidei. La Atack pensa che questa forte presenza della regalità sulla scena ateniese voglia caratterizzare Atene come sede della buona monarchia e ottenerne le conseguenze positive, unità e stabilità, anche se essa non può essere introdotta realmente nella città democratica. A me però pare piuttosto che, senza fare dei sovrani "democratici" dei doppioni di Pericle, la loro presenza sulla scena sia imposta dal fatto che il teatro attinge al mito, ma che il centro politico del discorso sia non tanto la monarchia, quanto la democrazia e il relativo dibattito. Sempre al contesto ateniese, ma alla figura del re nella storiografia e nella retorica, è dedicato il terzo capitolo (68-91): la figura centrale è Teseo, fortemente presente nella letteratura ateniese, anch'egli come "cosmic king", esempio di leadership ideale e modello da imitare. Particolarmente interessante, a questo proposito, il caso di Isocrate, che, combinando il Teseo di Tucidide, autore del sinecismo e quindi eroe unificatore, e il Teseo "democratico" di Euripide, presenta un modello di virtù ateniesi e un esempio di buongoverno in contrapposizione con la tirannide.
Con il quarto capitolo (92-121) si passa alla riflessione politico-filosofica, considerando prima di tutto il pensiero socratico, impegnato a indagare, con Antistene, Senofonte e Platone, sulla basilike techne in un contesto culturale molto interessato al governo monarchico. Il quinto (122-150) studia i modelli di regalità proposti da Isocrate nei discorsi ciprioti (partendo dagli esempi tratti dal passato mitico di Atene) e da Senofonte nella Ciropedia (partendo dal pensiero socratico), entrambi in dialogo sia con il pensiero politico contemporaneo sia con la tradizione. I re ciprioti sono modelli di eccellenza personale e esempi da imitare, capaci quindi di influire positivamente sulla virtù dei cittadini; Ciro è invece un modello "estremo", inimitabile, che i sudditi non possono seguire; il cuore del discorso è la virtù, che rende i sovrani artefici di educazione e di eudaimonia per la comunità. Seguono due capitoli dedicati alla monarchia nel pensiero platonico (151-178) e nella Politica di Aristotele (179-196); nel primo caso l'analisi, condotta soprattutto sul Politico, sul Timeo, sul Crizia e sulle Leggi, presenta un Platone in dialogo con il pensiero contemporaneo, che prende le distanze dal modello del re-pastore ricco di virtù della tradizione, sostanzialmente inconoscibile, come dai re inadeguati delle epoche più recenti; i suoi re sono collocati in un passato mitico, con forti elementi "cosmologici". Dell'ultimo capitolo è oggetto la riflessione di Aristotele sulla panbasileia, nel III libro della Politica: un discorso, quello del filosofo, che la Atack considera astratto, perché incompatibile con la città egalitaria di cui egli discute in quel contesto.
Nelle conclusioni (197-198) la Atack sintetizza i risultati del lavoro: la riflessione greca sulla monarchia, che nel V secolo si concentrava sul regime monarchico come fonte di stabilità e sull'uso della figura del re nell'immaginario politico e nell'ideologia, nel IV presenta piuttosto il re come esempio da imitare e mette al centro della riflessione il problema del rapporto tra monarchia e polis democratica. Nonostante le critiche dei filosofi, il modello del monarca legittimato dalle sue eccezionali virtù, presentato da Isocrate e da Senofonte, continua ad essere presente nel pensiero greco ed anzi prevale nel corso dell'ellenismo.
L'interpretazione offerta dalla Atack è sicuramente interessante e ricca di spunti: ho trovato particolarmente stimolanti le parti sul teatro ateniese e su Isocrate. Tuttavia, la lettura mi ha procurato in molti casi un certo disagio, sia per il riferimento costante ai modelli, che nonostante la fortuna di cui gode continuo a trovare metodologicamente discutibile, sia per alcune affermazioni non dimostrate, che mi sembra forzino l'interpretazione dei testi. Mi soffermo su due questioni sulle quali ho maggiore competenza, la figura di Dario nel Tripolitico erodoteo e quella di Teseo in Tucidide. Secondo la Atack, Il Tripolitico si apre con il tiranno che viola i nomoi e si chiude con il re che mostra rispetto per essi: è vero, ma Dario nella sua conclusione richiama i nomoi non nel senso di elemento ordinatore della società che il re "cosmico" difende, ma nel senso di tradizione costituzionale, in questo caso monarchica, che va rispettata ("il mio parere è che noi, avendo ottenuto la libertà per opera di un solo uomo, manteniamo la stessa forma di governo, e che non dobbiamo abolire i patrioi nomoi, che sono buoni"); dunque parlare di "focus on law and the preservation of order" (21) va a mio avviso al di là di quel che il testo dice. Analogamente, l'enfatizzazione dei tratti orientali e del modello del "cosmic king" nel discorso di Dario sulla monarchia mi pare ingiustificato: in realtà l'immagine del re che viene qui presentata ha aspetti tipicamente greci, come rivelano i temi dell'efficienza e della segretezza, che non vengono presi in considerazione. "Cosmic king" e "metaphysics of monarchy" sono formule che non mi paiono utili per comprendere il discorso che Erodoto attribuisce a Dario. Quanto al Teseo di Tucidide, non basta il suo collegamento con il sinecismo a farne un "cosmic king"; la presentazione di Tucidide è come sempre fredda e "istituzionale", del tutto lontana dall'idea del re apportatore di ordine e di eudaimonia; né c'è motivo di dire che Teseo "is presented to make an explicit contrast with contemporary politics" (76), perché il testo non fornisce appigli in questo senso. Spero con ciò di aver chiarito cosa intendo per forzatura dei testi, forzature che peraltro il ricorso ai modelli rende inevitabili.
Lodevole la divisione in paragrafi abbastanza brevi, che agevola molto la lettura; poco pratiche, invece, le note a fine capitolo invece che a pie' di pagina. Il linguaggio è stringato, con qualche oscurità (si veda per esempio p. 71, a proposito della rielaborazione del passato ateniese: "This unification of spatial and temporal systems within a single all-encompassing structure is at least in part historiographical manifestation of the metaphysics of monarchy, with founders and synoecists presiding over periods of political construction"; confesso di non essere in grado, qui come altrove, di intendere bene il pensiero dell'autrice).
È quasi inutile dire che la bibliografia è quasi tutta in lingua inglese e che il dibattito di cui si rende conto è pressoché esclusivamente fra anglofoni: su Teseo, per esempio, non si citano né L.Bertelli - G.F. Gianotti, Teseo tra mito e storia politica. Un'Atene immaginaria?, Aufidus I, 1987, 35-58, né H. Heftner, Die Vorstellung von Theseus als dem Begründer der Demokratie in Athen des 5. und 4. Jh. v. Chr., in Modelli eroici dall'antichità alla cultura europea, Roma 2003, 41-54, pure assai pertinenti al discorso qui proposto. Un malcostume la cui diffusione sembra, purtroppo, difficile da arginare.
Cinzia Bearzot