Rezension über:

Sylvia Ferino-Pagden / Wilfried Seipel (Hgg.): Der späte Tizian und die Sinnlichkeit der Malerei. [L'ultimo Tiziano e la sensualità della pittura], Wien: Kunsthistorisches Museum Wien 2007, 398 S., ISBN 978-3-85497-120-7, EUR 35,00
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Rezension von:
Giulio Manieri Elia
Soprintendenza speciale per il patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico e per il polo museale della città di Venezia e dei comuni della Gronda lagunare
Redaktionelle Betreuung:
Cristina Ruggero
Empfohlene Zitierweise:
Giulio Manieri Elia: Rezension von: Sylvia Ferino-Pagden / Wilfried Seipel (Hgg.): Der späte Tizian und die Sinnlichkeit der Malerei. [L'ultimo Tiziano e la sensualità della pittura], Wien: Kunsthistorisches Museum Wien 2007, in: sehepunkte 8 (2008), Nr. 3 [15.03.2008], URL: https://www.sehepunkte.de
/2008/03/14233.html


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Sylvia Ferino-Pagden / Wilfried Seipel (Hgg.): Der späte Tizian und die Sinnlichkeit der Malerei

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Venezia è la seconda tappa di una mostra promossa dal Kunsthistoriches Museum di Vienna e dalla Soprintendenza Speciale per il Polo Museale Veneziano; dopo Vienna, e un'ulteriore selezione di opere per molti versi coraggiosa, sono riuniti, presso le Gallerie dell'Accademia, ventotto capolavori della produzione degli ultimi decenni di attività di Tiziano. Alla produzione tarda accenna il titolo mentre la sensualità della pittura, del sottotitolo, rimanda, stando a Sylvia Ferino-Pagden (curatrice del catalogo e della mostra insieme a Giovanna Nepi Sciré), non tanto alla propensione per soggetti erotici ma piuttosto allo stile di questa fase, segnato da quel "tocco carezzevole", definizione felice di David Rosand. La mostra è divisa in sezioni tematiche: ritratti, soggetti profani e religiosi; il culmine è raggiunto con l'affiancamento di tre dei massimi capolavori di questa fase: La Pietà delle Gallerie, il Supplizio di Marsia di Kroměříž e la Ninfa e Pastore di Vienna.

Esiste uno stile tardo di Tiziano? La pennellata aperta, visibile, nervosa è frutto di intenzionalità creativa o è l'emergere delle difficoltà operative proprie alla mano di un anziano? Le stesure apparentemente monocrome e il "non finito", sono strumenti tecnico-espressivi consapevoli o la presentazione di opere in progress, come da prassi esecutiva documentata del maestro? Sono questi alcuni dei temi su cui fa il punto, senza preconcetti, l'esposizione che raccoglie, in catalogo, il lavoro critico e di ricerca condotto negli ultimi anni. Particolare attenzione è rivolta alle conoscenze provenienti dallo studio materiale delle opere, attraverso restauri e indagini scientifiche eseguite, tra l'altro, sulla Pietà e Madonna con Bambino delle Gallerie dell'Accademia (schede di Giovanna Nepi Scirè e Sandra Rossi) e sulle dodici opere di Tiziano maturo, della collezione viennese, di cui riferiscono Martina Griesser e Natalia Gustavson.

Intorno alla metà del Cinquecento una profonda svolta tecnica è testimoniata nella produzione pittorica di Tiziano, oramai sessantenne e al culmine del successo internazionale. Tra gli avvenimenti che la favoriscono si pone il viaggio romano del 1545, ovvero l'occasione di un approccio ravvicinato con l'Antico e di confronto diretto con le opere di Michelangelo (o da lui influenzate), quasi volesse accentuare una propria caratterizzazione. La svolta è impressa attraverso il colore, considerato strumento espressivo proprio alla scuola veneziana. Esso diviene, mediante una pennellata più aperta e visibile, forma costruttiva, annullando - come osserva Sylvia Ferino Pagden - l'antitesi con il disegno che, nella concezione critica centro-italiana, ha la sua preminenza quale strumento di perfezionamento ideativo e di metodo di trasferimento della composizione, mentre il colore è relegato al ruolo di riempitivo.

Il mutamento tecnico è percepito dai contemporanei: Pietro Aretino, inviando nel 1545 il proprio ritratto a Cosimo de' Medici, mette in relazione la quantità di denaro speso con il grado di finitura dell'opera, che considera imperfetta. Allo stesso modo e ancora nel 1545, Maria d'Ungheria suggerisce a Maria Tudor, cui aveva inviato l'effige del nipote Filippo, di ammirare i dipinti del cadorino a distanza. Si parla, in entrambi i casi, di ritratti, ovvero dei soggetti che fruttano a Tiziano il successo internazionale e il titolo nobiliare, concesso da Carlo V in cambio di una propria effige. I soggiorni ad Augusta (1548 e 1550-51), ospite della corte imperiale, sono il culmine dell'attività ritrattistica e occasione di nuove possibilità; nel secondo viaggio: Maria d'Ungheria gli commissiona il ciclo delle Furie mentre si avvia il rapporto mecenatizio con Filippo, legame che durerà venticinque anni e si chiuderà solo con la morte dell'artista. Per il re esegue temi sacri e profani ma l'esito più caratteristico è rappresentato dalle celebri Poesie, soggetti mitologici a sfondo erotico tratti dalle Metamorfosi di Ovidio.

La ricostruzione dell'attività e il ruolo svolto dalla bottega nella produzione dell'"ultimo Tiziano" è un altro tema centrale nel catalogo; elementi di riflessione vengono dall'interpretazione delle nuove indagini scientifiche che rendono visibili gli strati intermedi di lavorazione delle opere. Per far fronte alle molte commissioni, Tiziano fa affidamento su un'efficiente bottega di carattere prettamente familiare, come in uso a Venezia, su cui si soffermano Giorgio Tagliaferro e Charles Hope. La vasta richiesta di repliche di ritratti è fronteggiata utilizzando copie o "ricordi", eseguiti prima di consegnare l'opera. La pratica è conferma dalla lettera di B. Agnello a C. J. Calandra (novembre 1549), citata da Miguel Falomir. Per garantire la qualità del "marchio", Tiziano usava anche intervenire, con perfezionamenti, su dipinti eseguiti in bottega (lettera di J. Hurtado de Mendoza a re Filippo, 9 luglio 1549).

Nelle composizioni più complesse, come le Poesie, sono ancora i "ricordi", completi finanche nel colore, e i cartoni preparatori che permettono di conservare in bottega la centralità dell'idea e di rendere possibile la replica dei soggetti. Robert Wald ha studiato la genesi e l'evoluzione della Danae. La prima versione, eseguita per Alessandro Farnese (Napoli), ha, rivelata in radiografia, un'avanzata composizione derivante dalla Venere di Urbino. Ciò spinge lo studioso a dedurre che venne elaborata a Venezia senza confronto diretto con Michelangelo, anche se la sua Leda è la fonte d'ispirazione. Con variazioni, ma traendola dal cartone dell'opera napoletana, è eseguita la Danae successiva, recapitata a Filippo II nel 1556 (Madrid); a sua volta, essa è alla base della versione viennese. Prosegue, in quest'ultima, l'elaborazione del soggetto: così la posizione della fantesca visibile in radiografia è quella del prototipo mentre quella finale viene variata durante l'esecuzione.

Nessuno meglio di Vasari, che visita la bottega di Tiziano nel 1566, ha evocato la percezione coeva riguardo alla svolta tecnica intervenuta: "il modo di fare che tenne in queste ultime [opere], è assai differente dal fare suo da giovane [...] condotte di colpi, tirate via di grosso e con macchie, di maniera che dapresso non si possono vedere, e di lontano appaiono perfette". Lo storiografo testimonia anche la prassi esecutiva in più fasi e perfezionamenti: "si è tornato loro addosso con i colori tante volte". La visione di questo modo di procedere è completata da Marco Boschini, che cita Palma il Giovane come suo informatore: Tiziano inizia con abbozzare i quadri "con una tal massa di Colori, che servivano (come dire) per far letto, o base alle espressioni, che sopra poi li doveva fabbricare" vi tornava poi dopo interruzioni con colori stesi "più con le dita che co' pennelli [...] perché, volendo imitare l'operazione del Sommo Creatore [...] che egli pure, nel formar questo corpo umano, lo formò di terra con le mani". Da una visione sovrannaturale, del fare artistico di Tiziano, si passa, nei documenti di alcuni contemporanei, ad un'interpretazione diciamo fisiologico-geriatrica, legata allo stato di salute del pittore, nelle lettere: di Niccolò Stoppio a Jahann Jacob Fugger (1568), del duca di Urbino (1573) e del marchese di Ayamonte a Guzmán de Silva (24 febbraio 1575).

L'esistenza stessa di uno stile tardo è messa in discussione da Charles Hope, già nel 1980. Egli, in catalogo, riscontra un grado maggiore di finitura - per lui sinonimo di ultimazione - nelle opere il cui invio a Filippo II è documentato, mentre quelle apparentemente monocrome, o eseguite in maniera aperta, non comparirebbero nei documenti e potrebbero essere opere incomplete o concepite in epoche precedenti. Porta come esempi di queste ultime: l'Incoronazione di Monaco e il San Sebastiano dell'Ermitage, rimaste nello studio di Tiziano alla morte. L'opinione è condivisa da Augusto Gentili che individua un grado di finitura minore nei quadri privi di "commissione e senza storia, drammatici, personalissimi".

A problematizzare questa lettura intervengono evidenze documentali e analisi tecniche sulla Pietà, delle Gallerie di Venezia, e sulla Ninfa e Pastori, del Kunsthistoriches di Vienna. La prima doveva essere considerata ultimata sia per il suo artefice che nella percezione dei contemporanei poiché, collocata illecitamente su di un altare della chiesa dei Frari, veniva restituita a Tiziano, con decreto del nunzio papale (marzo 1575). La seconda, restaurata e studiata per cinque anni da Elke Oberthaler, presenta un'esecuzione differenziata, certamente intenzionale: la figura del pastore (e il fondo paesistico) è resa con pennellate aperte mentre la ninfa, fulcro della composizione, è dipinta, solo in apparenza, in tono monocromo, ma in realtà con una complessità cromatica ricca e finemente sfumata. Ciò smentisce l'ipotesi che possa trattarsi di un'opera incompiuta. Il Supplizio di Marzia, infine, considerata uno dei dipinti con il grado più avanzato di sfaldamento della forma è, con ogni evidenza, una tela perfettamente equilibrata. Nonostante le pennellate aperte e visibili, la mancanza di una profondità spaziale, con le figure strette al primo piano, l'equilibrio è raggiunto, attraverso un uso attento e ricercato del pigmento, a dimostrazione del grado di perfetto controllo dello strumento pittorico e dei suoi esiti, che Tiziano mostra anche in tarda età. Lo stile tardo deve essere, dunque, considerato come manifestazione finale di una summa straordinaria di conoscenze tecniche, riflessioni filosofiche e tensioni spirituali, frutto di una esperienza creativa unica e di una carriera eccezionalmente lunga e fortunata.

A Venezia, fino al 20 aprile 2008, si presenta un'occasione imperdibile per riflettere su uno dei temi più intriganti della storia dell'arte e per godere di questi capolavori la dove nacquero.

Giulio Manieri Elia