Emily Baragwanath / Mathieu de Bakker (eds.): Myth, Truth, and Narrative in Herodotus, Oxford: Oxford University Press 2012, XII + 370 S., ISBN 978-0-19-969397-9, GBP 75,00
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Katharina Wesselmann: Mythische Erzählstrukturen in Herodots Historien, Berlin: De Gruyter 2011
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Giovanni Parmeggiani (ed.): Between Thucydides and Polybius. The Golden Age of Greek Historiography, Cambridge, MA / London: Harvard University Press 2014
Klaus Geus / Elizabeth Irwin / Thomas Poiss (Hgg.): Herodots Wege des Erzählens. Topos und Logos in den Historien, Bruxelles [u.a.]: Peter Lang 2013
Philip A. Stadter: Plutarch and his Roman Readers, Oxford: Oxford University Press 2014
Il volume raccoglie i contributi di alcuni dei partecipanti a un seminario di studi tenutosi a Christ Church, Oxford nel settembre 2007, a cui sono stati aggiunti i lavori di due studiosi invitati successivamente a contribuire. Il tema mostra la sua problematicità già nel titolo del volume, nel quale compaiono termini fortemente connotati: lo sono in particolare myth e truth, mentre narrative, che evoca gli studi narratologici, si può percepire, almeno parzialmente, come termine neutro. D'altra parte, se togliamo a myth la spessa patina di connotazioni che si sono stratificate da Platone in poi, myth e narrative sono due termini in larga misura sovrapponibili. Quanto a truth il termine rinvia a un requisito di fondo della storiografia moderna, fondata sull'analisi dei documenti, un requisito che, soprattutto a partire dal XIX secolo, è stato impropriamente esteso alla storiografia antica, con il risultato di fraintenderne gli scopi e le funzioni.
Non potendo render conto puntualmente di tutti i contributi, mi limiterò a individuare alcuni problemi di fondo e a proporre alcune osservazioni.
I problemi legati alla terminologia sono lo specchio di alcune aporie concettuali che emergono chiaramente nell'ampia introduzione dei due curatori. Il problema di fondo, affrontato nell'introduzione e intorno al quale ruotano molti contributi, è quello della definizione di 'mito' (17 s.; cfr., tra gli altri, Gray, 167; Thomas, 233): mettendo da parte il mostruoso e l'inverosimile (vd. per es. Isocr. panath. 1), i Greci distinguevano i fatti soprattutto in base alla loro possibilità di conoscerli (vd. Hdt. 1. 5; Thuc. 1. 1. 3). È evidente che i fatti più antichi erano meno facilmente attingibili e che la loro conoscenza era affidata per lo più alle akoai e ai racconti abbelliti e amplificati dei poeti epici (così in Thuc. 1. 20 s.). L'antichità di un fatto non è però un criterio assoluto: si conosceva, o si credeva di conoscere, certamente di più del periodo remoto della guerra di Troia che non di quello, più vicino, dei secoli successivi, dal X al VII a.C. La ricerca del cosiddetto nucleo storico (55) è procedimento in gran parte fuorviante: i limiti del presunto nucleo non saranno mai definibili con precisione ed è molto più importante cercare di cogliere le funzioni di un racconto nelle epoche in cui questo è stato proposto come paradigma. Peraltro il confine tra modo storico e modo mitico di narrare (50 s.) risulta sfuggente anche perché la mitopoiesi o, in altri termini, la creazione di racconti paradigmatici è un processo che continua, fino a interessare fatti e personaggi recenti. Il fenomeno è teorizzato in Plat. Phaedr. 267 a6 ss. (con riferimento a Tisia e a Gorgia) e in Isocr. paneg. 8, ma era stato messo in atto già da poeti tragici, come Frinico ed Eschilo, e da uno storico come Erodoto. Parlare di dei ed eroi come soggetti del mito (17) significa non tener conto di questo importante aspetto in un'opera, come quella di Erodoto, volta anche alla creazione di nuovi paradigmi (vd. infra, a proposito del contributo di Vignolo Munson). Come non si può ricostruire un nucleo storico, non è possibile ritagliare un nucleo mitico, un Urmythos, che sarebbe stato successivamente adattato e modificato. L'idea della "deformazione della tradizione orale" (54) presuppone appunto un racconto originario su cui Erodoto o i tragici sarebbero intervenuti con le loro innovazioni. Ma le vicende di un mito non sono ricostruibili con il metodo stemmatico della filologia e i miti sono tali quando e in quanto sono raccontati: è possibile semmai formulare ipotesi su alcuni meccanismi della tradizione orale (Thomas). Nell'introduzione l'indagine sulle funzioni dei paradigmi mitici è appena abbozzata: oltre a riconoscere ad essi una funzione persuasiva, bisogna affermare con forza che i paradigmi mitici non sono mai decorativi: non si tratta soltanto di elevare l'opera in prosa attribuendole autorità (44), ma anche di creare un gioco di rispecchiamenti che arricchisce le conoscenze di chi ascolta.
Esemplari in questa chiave sono i due racconti sul tema della xenia esaminati da Vandiver (143-166): l'ospitalità di Proteo nei confronti di Paride, Elena e Menelao e quella di Creso nei confronti di Adrasto. Al di là dei tanti echi omerici evidenziati da Vandiver, che fanno di Omero un ipotesto essenziale, va detto che Erodoto si serve di una scena tipica (uso la categoria di Arend), quella di ospitalità, per costruire due racconti che hanno funzioni profondamente diverse da quelle dell'epos e vicine, piuttosto, a quelle della coeva tragedia. Su questo punto rinvio al mio Erodoto e la tragedia di Troia (2. 112-120), in G. Bastianini, W. Lapini, M. Tulli (a cura di), Harmonia. Scritti di filologia classica in onore di Angelo Casanova, II, Firenze 2012, 633-649.
Il trattamento erodoteo della saga troiana e in particolare 2. 112-120 sono al centro anche dei contributi di Saïd, de Bakker e de Jong, e ritornano nel lavoro di Vignolo Munson (specialmente 200). Vignolo Munson si sofferma in particolare sulla distinzione tra la talassocrazia di Minosse e quella di Policrate e sullo statuto dei due personaggi in 3. 122 e arriva a concludere (212) che Policrate era, nell'ottica di Erodoto, un paradigma più utile di Minosse. La ricerca di nuovi paradigmi accomuna Erodoto da un lato ad alcune esperienze della tragedia (per esempio, la Presa di Mileto di Frinico e i Persiani di Eschilo), dall'altro a Tucidide, che considererà pienamente paradigmatica soltanto la ricostruzione accurata e autorevole (cioè la propria) di un grande evento della storia contemporanea.
Sul versante della veridicità del racconto, il contributo di Chiasson esamina due momenti della vicenda di Ciro, la sua nascita, giovinezza e ascesa al potere e la sua morte, per evidenziare il differente livello di veridicità che Erodoto attribuisce ai due racconti. L'apparente contraddizione tra la pretesa di veridicità del primo racconto e la 'mythistorical' narrative technique impiegata da Erodoto apre la strada a molte considerazioni, oltre a quelle proposte dall'autore. Sarebbe necessario riesaminare tutte le affermazioni erodotee sulla veridicità di un racconto per individuarne le funzioni, che possono essere diverse da caso a caso. Un esempio particolarmente interessante tra tanti è l'introduzione del dibattito costituzionale in 3. 80. 1. La pretesa di veridicità può essere segnale di paradigmaticità necessaria, e quindi di mitopoiesi d'autore, come nei due casi della versione egizia della vicenda di Elena e del dibattito costituzionale persiano, oppure di volontà di presa di distanza da versioni diverse e giudicate inverosimili (nascita e giovinezza di Ciro). In ogni caso, quando si parla di veridicità in riferimento agli storici antichi, è indispensabile aver chiaro che aletheia e veritas non sono sovrapponibili ai corrispondenti termini moderni, ma sono correlati all'assenza di menzogna o di deliberata alterazione dei fatti al fine di favorire o di danneggiare qualcuno.
Attento al problema delle funzioni è il contributo di Thomas, che parte da una definizione larga e empirica di 'mito' per andare ad analizzare due racconti relativi a personaggi di origine orientale: si tratta di Pizio il Lidio (7. 28 s.; 38-40) e di Deioce (1. 96-100). L'attenzione viene correttamente trasferita dalla questione dell'origine (i due poli estremi sono quelli dell'autenticità orientale e della fiction erodotea) a quella della tecnica di riscrittura di Erodoto, con un occhio rivolto a un contesto sociale che aveva timore dell'Oriente, ma ne subiva il fascino. Anche Vannicelli si sofferma sulle origini mitiche dei Medi e dei Persiani, e in particolare su quelle integralmente greche (Medi legati a Medea; Persiani a Perse, figlio di Perseo). Anche in questo caso si tratta di complessi procedimenti di mitopoiesi, che avevano risvolti non secondari nella propaganda politica delle città greche. Sul potere del mito di plasmare la storia contemporanea vi sono molti spunti anche nei contributi di Bowie e Baragwanath.
Sulla base delle brevi considerazioni che ho esposto è evidente che avrei preferito per questo interessante volume, che offre numerosi spunti di riflessione, un altro taglio, fondato su categorie diverse da quelle di 'mito' e di 'verità', e volendo prendermi la libertà di indicare un titolo che possa suggerire una prospettiva di ricerca parzialmente diversa, potrei pensare a qualcosa come Paradigmatic Narrative in Herodotus. Ma questa sarebbe, appunto, un'altra storia.
Roberto Nicolai