Francesca Bartolacci / Roberto Lambertini (a cura di): Osservanza francescana e cultura tra Quattrocento e primo Cinquecento. Italia e Ungheria a confronto (Atti del convegno, Macerata-Sarnano, 6-7 dicembre 2013), Roma: Viella 2014, 198 S., ISBN 978-88-6728-295-1, EUR 22,00
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L'agile volume si propone di comparare il ruolo dell'Osservanza francescana nelle vicende culturali italiane e ungheresi tra Quattrocento e primo Cinquecento. Il libro si inserisce così all'interno di una feconda stagione di ricerche sul movimento osservante in generale [1] e sull'Osservanza minoritica in particolare. [2] La ragione per comparare questi due diversi ambienti culturali si radica principalmente nella circolazione di testi e protagonisti tra Italia e Ungheria e permette - come indica Roberto Lambertini nell'introduzione - di cogliere come all'interno della stessa Osservanza francescana vi fossero "differenziazioni [...] definitesi a contatto con diversi contesti politici, sociali e culturali" (12). L'indagine affronta quattro aree: il rapporto tra osservanti e cultura umanistica; gli studia e la questione della formazione culturale; la produzione di testi funzionali al governo dell'Ordine o alla cura pastorale; l'agiografia e, in particolare, l'uso del volgare in questo campo.
Nel saggio "Umanisti ed Osservanti francescani in Ungheria" (15-32) György Galamb sottolinea la prossimità tra osservanti francescani e umanisti in ambito ungherese, dovuta in particolare al loro ruotare intorno alla corte. Pur trattandosi di contatti sporadici, non si registrano i toni aspri presenti in alcuni conflitti tra umanisti e osservanti in Italia. [3] Prevale infatti la necessità di far fronte insieme alla minaccia hussita e - soprattutto - all'espansione turca. La sintesi simbolica di questo comune sforzo si coglie nelle pagine che l'umanista italiano Antonio Bonfini, entrato a servizio di Mattia Corvino, dedica nel suo Rerum Ungaricarum decades alla battaglia di Belgrado (1456). In esse János Hunyadi e Giovanni da Capistrano vengono "elevati quasi alle altezze del martirio e della santità" (31). La penna di un umanista servì così a legittimare simultaneamente la funzione della casa regnante ungherese e dell'Osservanza francescana. Come spiega nell'introduzione Lambertini, non è stato purtroppo possibile includere nel volume un saggio sul rapporto tra osservanti e umanisti in Italia (12).
Il secondo e il terzo saggio affrontano il tema della formazione culturale dei frati osservanti. In "Predicazione, formazione scolastica e modelli culturali nell'Osservanza francescana ungherese alla fine del medioevo" (33-52), Ottó Gecser traccia con cura la distribuzione dei conventi osservanti sul territorio ungherese, mostrando sia l'ampia diffusione della famiglia francescana (su 188 conventi mendicanti, 109 erano francescani) sia il radicamento dell'Osservanza (66 conventi). Inoltre, visto che gli osservanti occuparono spesso aree poco urbanizzate, la loro azione pastorale si svolse sostanzialmente senza una vera concorrenza, e senza che agli occhi della gente fossero percepibili reali differenze tra i rami dell'Ordine. Se gli osservanti potevano mettere in campo "quasi un esercito di predicatori, se lo paragoniamo alle possibilità delle parrocchie" (38), più difficile è avere dati precisi sui contenuti e lo stile della loro predicazione. Sfuggente è anche l'effettiva consistenza del percorso di studi di questi predicatori, se si eccettuano i pochi formatisi negli studia di Buda ed Esztergom o - raramente - nelle università di Vienna e Praga. Il quadro italiano è tracciato con maestria da Letizia Pellegrini nel saggio "Tra sancta rusticitas e humanae litterae: La formazione culturale dei frati nell'Osservanza italiana del Quattrocento" (53-71). La studiosa mette a fuoco la formazione culturale dei frati italiani indagando tre ambiti strettamente intrecciati: l'istituzione degli studia (frutto spesso di percorsi lunghi e contrastati), la produzione e l'uso dei libri, la creazione di biblioteche sia personali (come quelle di Giacomo della Marca e Giovanni da Capestrano) sia istituzionali (come quella del convento di Verona). La formazione culturale promossa e incentivata dai protagonisti dell'Osservanza italiana si orienta principalmente al servizio pastorale, come ricordano in maniera icastica le parole di Bernardino da Siena: "Se io none avesse imparato, voi non udireste le mie parole che io vi predico, che solo per lo studiare è venuto [...] e però il più utile denaio che voi spendiate, si è quello dello studio" (65). Il saggio ha inoltre il merito di ricordare le specificità dell'Osservanza minoritica italiana, dovute a quel connubio - anche sul piano culturale - tra élites cittadine e frati osservanti che costituisce "la cifra di fondo dell'Osservanza italiana" (71).
Nel saggio "Formulari francescani della provincia Ungherese dei frati Minori Osservanti del primo Cinquecento" (73-86), Antal Molnár fornisce le prime notizie di un ritrovamento documentario di notevole importanza, ovvero un repertorio di circa cinquecento modelli di lettere prodotte dalla cancelleria osservante magiara e di cui la studiosa sta curandone l'edizione negli Analecta Franciscana. L'importanza di questi documenti è ben evidenziata dagli esempi presentati riguardo al rapporto che gli osservanti ungheresi mantenevano con le proprie famiglie, alle strategie per affrontare l'avanzata turca, e alle tensioni interne all'Ordine a inizio Cinquecento che portarono diversi frati prima a unirsi alla rivolta contadina capeggiata da György Dózsa (1514) e poi ad abbracciare la Riforma. Anche il saggio successivo, intitolato (in maniera fuorviante) "Giacomo della Marca e l'Est Europa" (87-136) e scritto da Lorenzo Turchi e Francesco Nocco, discute documenti recentemente scoperti o ritrovati. Turchi studia un manoscritto miscellaneo (un tipico "libro da bisaccia") conservato nel convento di San Francesco di Cres (prodotto però probabilmente in Italia) e che contiene materiale omiletico legato a Giacomo della Marca. Nocco presenta la riscoperta presso la Curia generale dei frati Minori di una serie di lettere indirizzate a Giacomo della Marca - di cui alcune legate alla sua missione in Ungheria - che si pensavano irrimediabilmente perdute.
Gli ultimi due saggi indagano l'uso del volgare nei testi agiografici osservanti. Daniele Solvi, in "Agiografia volgare e strategie di santità nell'Osservanza" (137-159), indaga il contesto italiano, caratterizzato da una straordinaria ricchezza documentaria. La produzione agiografica quattrocentesca utilizza tanto il latino quanto il volgare. Se i testi latini servivano a promuovere la canonizzazione dei protagonisti dell'Osservanza, il volgare era funzionale alla circolazione dei testi all'interno di una rete di laici legati all'Ordine e a promuovere il culto dei nuovi santi dal pulpito. Solvi correttamente individua varie fasi nella produzione osservante: la campagna per la canonizzazione di Bernardino e la diffusione del suo culto; il fervore intorno a Capistrano e il fallimento del progetto per una sua rapida canonizzazione; la vicenda accidentata del culto di Giacomo della Marca (acute le osservazioni sugli scritti di Venanzio da Fabriano quale segno di un suo essere stato lasciato pressoché solo nell'impresa...); la sistemazione dei nuovi santi osservanti all'interno di un rivisitato santorale francescano, visibile ad esempio nella Franceschina di Iacopo Oddi. Questa capacità di declinare la propria agenda agiografica tanto in latino quanto in volgare conferma la "funzione di cerniera linguistica e culturale" (158) svolta dall'Osservanza nella società italiana. A fronte del ricco panorama italiano, Dávid Falvay e Eszter Konrád ("Osservanza francescana e letteratura in volgare dall'Italia all'Ungheria: ricerche e prospettive"; 161-183), mostrano come sia difficile muoversi in un quadro di fonti assai più scarno. I due studiosi mettono in luce sia i collegamenti tra la cultura francescana e alcuni dei più antichi e importanti testimoni della lingua ungherese, sia il (probabile) ruolo di mediazione culturale tra opere in latino e letteratura volgare svolto da personaggi come Pelbart di Temesvár. I dati, seppur frammentari, suggeriscono la rilevanza della presenza francescana nel contesto culturale ungherese.
Nel complesso il volume presenta un panorama articolato, impreziosito dalla discussione di fonti nuove o poco conosciute, e mostra sia la diversità dell'Osservanza minoritica nei due distinti ambiti culturali sia la profonda differenza dei documenti a disposizione della ricerca storica. Il volume ha inoltre il merito di rendere accessibile in italiano i risultati più recenti della storiografia religiosa ungherese. In questa prospettiva, sarebbe stato utile offrire al lettore anche una presentazione generale delle vicende dell'Osservanza in Ungheria, il cui quadro cronologico è dato per scontato (ad esempio, si dà più volte per nota la rivolta dei contadini del 1514 e la partecipazione in essa di alcuni frati osservanti...). Ugualmente, sarebbe stato utile offrire una mappa dei conventi e degli studia francescani nell'Ungheria dell'epoca. Complessivamente però, accostando spazi geografici e culturali diversi, il volume favorisce un respiro europeo nello studio del fenomeno osservante. È questo un approccio necessario e fecondo, da integrare probabilmente con uno sguardo trasversale ai diversi ordini religiosi.
Note:
[1] James D. Mixson / Bert Roest (eds.): Observant Reform in the Later Middle Ages and Beyond (1400-1550), Leiden 2015.
[2] Si veda per l'Italia: Letizia Pellegrini / Gian Maria Varanini (a cura di): Fratres de familia. Gli insediamenti dell'Osservanza minoritica nella penisola italiana (sec. XIV-XV) (= Quaderni di storia religiosa; 18), Verona 2011; I Frati osservanti e la società in Italia nel sec. XV (Assisi-Perugia, 11-13 ottobre 2012), Spoleto 2013. Sull'Ungheria, si veda Marie-Madeleine de Cevins: Les Franciscains observants hongrois de l'expansion à la débâcle (vers 1450 - vers 1540), Roma 2008.
[3] Il panorama italiano va riconsiderato alla luce delle più recenti acquisizioni, si veda ad esempio Cecilie Caby / Rosa Maria Dessì (éds.): Humanistes, clercs et laïcs dans l'Italie du XIIIe au début du XVIe siècle, Turnhout 2012.
Pietro Delcorno