Gregor Berghammer: Caracalla. Die Militärautokratie des Kaisers Severus Antoninus, Gutenberg: Computus 2022, 851 S., ISBN 978-3-940598-51-6, EUR 109,00
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L'impegnativo volume di Gregor Berghammer (723 pagine di trattazione e 30 di apparati e bibliografia) è la seconda monografia dopo quella di chi scrive uscita nel 2019, su un figura chiave della storia imperiale come Caracalla. Dico sibito che si tratta di un lavoro egregio per la ricchezza dei materiali che mette a disposizione - eccellente è a questo proposito lo studio delle fonti epigrafiche e giuridiche e la ricerca prosopografica - e per la brillante applicazione analitica e critica. Il volume si compone di dieci capitoli: le più importanti fonti storiografiche; gli anni della formazione di Caracalla; Antonino e Geta; Caracalla a Roma e nelle province; aspetti dell'autorappresentazione di Caracalla; Iustitia et Indulgentia; il nervus rerum; il Genius del Senato; gli officia militis et imperatoris; la morte di Caracalla e l'apoteosi.
Le prime 46 pagine costituiscono un'ordinata presentazione delle fonti: Cassio Dione, Erodiano e l'Historia Augusta. Si può dire che l'intero volume è condotto su una critica molto serrata dei libri 77-78 di Cassio Dione che l'autore smonta passo per passo sottolineando forse in maniera talvolta troppo severa l'inconsistenza del ritratto di Caracalla offerto dallo storico bitinico, ritenuto troppo fazioso e carico di odio verso l'imperatore. Anche la testimonianza di Erodiano è sistematicamente svalutata e anche qui forse in alcuni casi sarebbe stata opportuna maggior cautela; Berghammer ritiene infine anche la biografia dell'Historia Augusta poco affidabile, se non in rari casi.
Il volume è ricco di novità e dunque vorrei illustrarne qui le più significative. Prima di approdare al regno di Caracalla giustamente l'autore si concentra sugli ultimi anni del principato di Settimio Severo: ben ricostruita è la rivalità tra i due fratelli, non tanto sulla base delle fonti letterarie quanto sulla base delle fonti numismatiche ed epigrafiche sia relative alla figura di Geta sia relative alla figura di Caracalla. Bene fa Berghammer a valorizzare la spedizione in Britannia del 211, ancora sotto la guida di Settimio Severo, perché diede modo a Caracalla di mettersi alla prova e soprattutto di entrare in contatto coi soldati e di sperimentare le sue doti di imperator; nello stesso tempo gli permise di marcare ancor più la differenza tra sé e il fratello, sebbene i soldati non fossero ancora disposti ad offrire tutto il loro appoggio al solo Caracalla. Avrei invece qualcosa da eccepire circa l'affermazione secondo la quale Severo sarebbe stato l'unico responsabile della caduta di Plauziano, poiché Caracalla era troppo giovane per suggerire o avallare questa decisione del padre. In realtà Caracalla - e soprattutto la madre - avevano avuto già modo di conoscere da vicino i metodi di Plauziano sin dal viaggio in Egitto del 201 e soprattutto Caracalla era già sposato con la figlia del potente prefetto del pretorio dalla quale divorziò immediatamente dopo il 205. Mi sembra pertanto difficile dissociare completamente la figura di Caracalla dalla tragica vicenda di Plauziano.
È importante valorizzare, come fa Berghammer, la popolarità di Caracalla sia tra la plebs romana sia in provincia: l'imperatore non risparmiò in congiaria, in competizioni al circo con spettacolari venationes (dove comparivano anche elefanti, rinoceronti, tigri e ippotigri) o combattimenti gladiatori né in altre liberalità. La costruzione delle grandiose terme a Roma fu non soltanto un grande successo popolare per l'alta affluenza ma anche per le numerosissime occasioni di lavoro che si erano presentate. Lo stesso nomignolo con cui l'imperatore è noto (Caracalla) rivela la popolarità e il successo conseguito con la veste da lui diffusa ovunque e che ebbe un enorme successo anche dopo la sua morte almeno sino al tempo di Diocleziano. I provinciali ebbero un ottimo ricordo di lui, in particolare in Oriente: a Nicomedia furono costruite le theramae Antoninanae, a Ierapoli si menzionano con onore i contributi per l'annona della domus divina; per la sua indulgentia fu condonato il pagamento delle tasse in più di una città (celebre il caso di Banasa in Mauretania).
Degno della massima attenzione è il tema della Selbstdarstellung di Caracalla: non so quanto le considerazioni relative alla religiosità dell'imperatore possano rientrare in un simile capitolo ma, in ogni caso, fa bene l'auotre a sottolineare come la religiosità di Caracalla non sia legata solo alla precarietà delle sue sue condizioni di salute (come è noto soffriva di un male oscuro e spesso ricorreva alle visite nei santuari più famosi alla ricerca di un rimedio) ma sia profondamente radicata nell'ethos romano; inoltre gli dei che Caracalla aveva presecelto e ai quali si ispirava nella sua condotta rappresentavano anche l'origine della sua felicitas e dunque si ponevano come garanti del suo successo come comandante militare: la religione cioè era anche un mezzo per legare a sé i soldati.
Interessante è anche il tentativo di ridimensionare l'imitatio Alexandri di Caracalla che le fonti presentano come una vera e propria ossessione dell'imperatore. Certo, anche qui talvolta manterrei intatto quel margine di ambiguità che invece Berghammer non concede, come nel caso dell'assunzione da parte di Caracalla dell'epiteto di Magnus: escludere che esso facesse parte dell'imitatio Alexandri dell'imperatore e che sia invece "[sondern] ein Reflex darauf, der die Rezeption der kaiserlichen Selbstdarstellung in der Bevölkerung widerspiegelt" (223), mi sembra una soluzione troppo univoca.
Merito indiscutibile del lavoro è aver portato alla luce nei due capitoli centrali l'enorme mole di materiale epigrafico e giuridico relativo al regno di Caracalla (preziosissimo il repertorio (286-287)). L'imperatore del resto era stato affiancato durante il suo governo dai migliori giuristi del tempo: basti pensare a Papiniano e ad Ulpiano. Dei diversi casi che vengono presi in considerazione (il processo a Filisco, la cura morum, la tortura, il processo ai Goharieni, i rescripta e i decreta più importanti) emerge la tendenza di Caracalla a concedere più speso di quanto si possa immaginare provvedimenti di grazia e di amnistia (ai quali egli puntualmente si richiama nei testi epigrafici attraverso il richiamo alla sua indulgentia): la Constitutio Antoniniana del resto - che forse meritava un capitolo a parte e non soltanto un paragrafo di poco meno di una decina di pagine - sotto il profilo giuridico è anche un'amnistia generale. Notevole è infine in questa sezione la citazione di una passo del de adulterinis coniugiis di Agostino (2, 7-8) il quale in materia di adulterio richiama non solo i precetti di Cristo e di San Paolo ma anche un rescritto di Caracalla.
Meno condivisibili mi sembrano invece alcune considerazioni relative all'interpretazione di alcuni episodi nonché all'uso delle fonti letterarie. Non mi sembra ad esempio accettabile l'interpretazione 'riduttuvista' del massacro di Alessandria del 215-216 come un'operazione di polizia: si trattò a mio parere di una strage dove a Caracalla era sfuggito il controllo della situazione; non condivido neppure la sistematica valutazione di Erodiano operata da Berghammer: in alcuni casi, come quello appena ricordato reltivo ad Alessandria, l'autore non prende neppure in considerazione la testimonianza del nostro storico giudicandola inaffidabile sulla base del parere di F. Kolb nel suo celebre volume del 1972 (Literarische Beziehungen zwischen Cassius Dio, Herodian und der Historia Augusta, Bonn), che è procedimento quantomeno opinabile. Condivisibile appare invece la presentazione della campagna in Germania e di quella in Partia (e in Armenia) come un successo strategico: i confini stabiliti da Caracalla durarono infatti nel tempo.
Centrale è ovviamente il rapporto coi soldati di cui giustamente Berghammer sottolinea ripetutamente l'importanza ma direi anche la peculiarità: colpisce molto il fatto che l'imperatore sia addirittura indicato come pater militum (ILS 454): una caratterizzazione questa che finora non era mai stata adeguatamente valorizzata nella definizione di Caracalla come commilito.
Circa i rapporti con il senato, per quanto l'autore si sforzi - a ragione - di contestare Dione e di mitigare l'immagine convenzionale del tiranno antisenatorio, di fatto bisogna ammettere che, grazie anche all'avanzata dei cavalieri e dei liberti (come il volume documeta ampiamente), la politica di Caracalla era stata più attenta agli interessi dei soldati e aveva contribuito dunque ad un'ulteriore emarginazione del senato.
Nel complesso mi sembra dunque che siamo di fronte ad un lavoro di grande valore e di notevole spessore scientifico, che rivaluta appieno la figura di Caracalla non solo come uomo d'armi ma anche come statista. Le conclusioni infatti mostrano come il suo principato non fu più 'militare' di quello dei suoi predecessori e paradossalmente dunque - rispetto a quanto farebbe suppore il titolo del volume - ne esce un ritratto più 'civile', quello cioè di un imperatore più attento alle persone e alla loro sorte, alle città e alle comunità sparse per l'impero e alle loro esigenze e capace di prendere provvedimenti dettati da misura e buon senso e che per questo ebbe un vasto consenso popolare sia a Roma sia nelle province.
Alessandro Galimberti